multinazionali-farmaceuticheMentre il mondo è sempre più globalizzato e integrato, le critiche alle forme assunte da tale fenomeno crescono ogni giorno: la sensazione è che la globalizzazione sia asservita alle mere logiche aziendali e di business, soggiogata dalle leggi del mercato e dell’economia.  Le imprese diventano sempre più grandi e contestualmente crescono l’influenza e gli interessi  delle stesse multinazionali. Gli effetti delle scelte e delle politiche adottate, naturalmente, si ripercuotono a livello  mondiale. Il pianeta pullula di gruppi di pressione industriali, una sorta di pantheon di muscoli aziendali, in cui le multinazionali americane giocano la parte del leone. Capaci di esercitare un potere enorme, possono influenzare scelte attraverso le quali si sviluppano le più importanti decisioni in ambito sanitario, ovunque nel mondo. I giganti corporativi dai super profitti, come  l’americana  Pharmaceutical Research and Manufacturers Association (PhRMA) sono ormai imperi le cui dimensioni superano interi continenti.

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In virtù di tale supremo potere, dettano le regole del gioco.

Multinazionali farmaceutiche e speculazione

Ovviamente le multinazionali, che non sono enti no-profit e nemmeno benefattori, scelgono di investire dove conviene loro, dove successo e prosperità sono garantiti. E’ qui opportuno sottolineare che l’industria farmaceutica non ha avuto vita facile durante la recente (e perdurante) crisi economica: oltre alle misure di contenimento dei costi, agli ostacoli  di carattere normativo e ai crescenti costi di sviluppo, le aziende farmaceutiche sono state gravemente colpite dalla severe misure di austerità introdotte nei vari sistemi sanitari europei , proprio a causa della crisi.

Italia compresa.

Quello che era iniziato in Grecia si è poi diffuso in molti altri mercati europei (sia pure in misura forse meno drammatica), e l’intero settore si è trovato a combattere difficili battaglie su più fronti. Le industrie farmaceutiche chiedono oggi più certezze: in Italia, in particolare le lungaggini burocratiche scoraggiano qualsiasi potenziale investitore, anche se mosso dalle migliori intenzioni.

Secondo le cifre fornite da Pierluigi Antonelli, chairman dello IAPG (Italian American Pharmaceutical Group), gruppo che rappresenta le aziende farmaceutiche statunitensi attive nel nostro Paese, il settore farmaceutico ha un notevole valore: tradotti in cifre si parla di 5 miliardi di fatturato, 13 mila dipendenti, 460 milioni di euro di investimenti  nella ricerca, 233 dei quali versati in imposte e tasse. Ma il suo peso, negli ultimi anni, registra un progressivo calo (prezzi delle medicine, spesa pubblica, tempi per i rimborsi, frammentazione, tempi di accesso ai farmaci, politica di promozione e tutela dell’innovazione e del brevetto, sono solo alcuni degli elementi di criticità del settore). Mentre India e Cina avanzano sempre più velocemente ed impetuosamente e paesi come il Laos o il Bangladesh cominciano prepotentemente a farsi largo, altri paesi come Grecia, Portogallo, e Spagna  rischiano il totale abbandono.

Ma tale scenario è, almeno in parte, la conseguenza di una scelta strategica, il risultato dell’adozione di un modello che considera (quasi esclusivamente) la salute pubblica un business lucrativo.
Ed è esattamente qui che nasce l’equivoco, quasi un’aberrazione.

Quando si tratta di assistenza sanitaria e farmaceutica, non si può pensare solo ai numeri. Se dalla logica degli affari non può si può (verosimilmente) prescindere, non ci può essere posto per la più bieca e corrotta avidità. Nel mondo della sanità, in cui i pazienti si affidano ai medici perché questi  facciano ciò che è meglio per loro, l’industria farmaceutica deve  dimostrare all’intera collettività che non pensa soltanto al business  (peraltro il più redditizio al mondo con 400 miliardi di dollari ogni anno). Questo modello di governance è del tutto incompatibile con l’assistenza sanitaria, la medicina e l’accesso ai farmaci e incoraggia l’industria farmaceutica a porsi in un’ottica precipuamente aziendale, tesa a massimizzare il profitto.

Le aziende dovrebbero trovare valore nel fare ciò che è meglio per i pazienti, piuttosto che per gli azionisti e i loro conti in banca. Il settore sanitario è estremamente sensibile e i farmaci sono un bene essenziale  e prezioso. Un sistema in cui la salute del paziente è posta al centro di ogni altra logica (di mercato) può essere attuato attraverso l’incentivazione della responsabilità sociale delle imprese, che sposta l’obiettivo dal successo (o fallimento) di un’azienda  al soddisfacimento delle esigenze della comunità. Il riconoscimento della salute quale diritto umano fondamentale e imprescindibile, è il primo passo per spostare il focus su ciò che è il vero core di un’azienda farmaceutica: la salute di milioni di persone.

Gli attuali modelli di business non sembrano destinati a lunga vita. Piuttosto, appare sempre più  evidente che le maggiori case farmaceutiche e multinazionali del settore, saranno chiamate ad una più stretta e proficua collaborazione, sia con gli attori interni che con quelli esterni, con l’obiettivo di rispondere alle esigenze provenienti dalle differenti comunità di stakeholders. Modelli di business alternativi a quelli attuali, sviluppati in una logica di partnership, emergeranno in un contesto di rapidi e continui mutamenti, fornendo nuovi basi da cui muovere per operare più efficacemente, in modo trasparente e responsabile.

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