«La continua e crescente immissione in commercio di nuovi prodotti salutistici, notificati presso il ministero della Salute come “integratori alimentari”, ma poi propagandati presso la classe medica come se fossero veri e propri medicinali dotati di proprietà terapeutiche, da prescrivere su ricetta, è profondamente preoccupante». Ad affermarlo è una nota dell’Associazione Scientifica Farmacisti Italiani (Asfi) che sottolinea come ciò generi «confusione e disorientamento, sia tra i farmacisti che operano a contatto con il pubblico, sia tra i pazienti, anche a causa della tipologia di confezionamento adottato, a prima vista indistinguibile da quello dei medicinali».
La sigla ricorda che «gli integratori alimentari ed i nutraceutici per legge non possono vantare proprietà terapeutiche». Eppure «tali prodotti vengono propagandati presso la classe medica come efficaci rimedi per varie patologie, da prescrivere su ricetta medica. In quest’attività, gli “informatori” che incontrano i medici prescrittori sono a volte aiutati dalla presenza, nella formula dell’integratore che propagandano, di sostanze attive presenti anche in farmaci autorizzati, a concentrazione paragonabile».
Per questo l’Asfi ha ricordato «le sostanziali differenze che sussistono tra la legislazione che disciplina gli integratori alimentari salutistici e quella che disciplina i medicinali autorizzati». In particolare in termini di immissione in commercio (per gli integratori non è necessario alcuno studio preliminare), di certificazione GMP (Good Manufacturing Practice, per la quale non c’è obbligo), di disciplina degli informatori farmaceutici (non occorre qualificare chi ha tale incarico), di pubblicità presso l’utilizzatore finale (consentita senza controlli preventivi). Inoltre, l’Asfi ricorda che «la commercializzazione di tali prodotti è possibile in qualsiasi punto vendita che possa vendere alimenti, quindi anche tramite un sito online», che «non è necessaria la presenza o la responsabilità di un farmacista» e che è possibile legare alla vendita «concorsi, operazioni a premi e cessioni sotto-costo». Anche il reato di comparaggio farmaceutico, infine, non è applicato.
L’associazione conclude spiegando che tutto ciò «concorre a banalizzare il concetto di farmaco, e a diffondere tra il grande pubblico l’idea che la nostra intermediazione tra medico e medicinale non sia oramai più necessaria. Così facendo, però, i pazienti vengono esposti al rischio di essere vittima di meccanismi economici e commerciali che nulla hanno a che fare con la tutela della loro salute». Di qui la richiesta di «una legislazione più stringente, che impedisca possibili abusi a danno del paziente», e l’invito al ministero della Salute «ad aumentare l’attenzione con cui sorvegliano queste nuove delicate categorie di prodotti».
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