L’israeliana Teva Pharmaceutical Industries ha lanciato una proposta di acquisto su tutte le azioni in circolazione del gigante farmaceutico americano Mylan. Qualora l’operazione dovesse andare in porto, ne scaturirebbe un vero e proprio colosso dei medicinali generici, con un fatturato di circa 30 miliardi di dollari all’anno, e ricavi per circa 9 miliardi, secondo le stime comunicate dalla stessa Teva.
Quest’ultima ha annunciato un prezzo di acquisto delle azioni pari a 82 dollari per titolo, con un premio pari al 37,7% rispetto alla quotazione del 7 aprile scorso. Ovvero rispetto al giorno che ha preceduto un altro annuncio: quello da parte della stessa Mylan, che annunciava una possibile maxi-fusione con la concorrente Perrigo, azienda leader in materia di automedicazione. Secondo quanto riferito dalla stampa internazionale, il “merger” potrebbe concludersi sulla base di una cifra pari a 28,9 miliardi (26,7 miliardi di euro) e generare un altro gigante, dal fatturato totale di 15,3 miliardi di dollari.
Eppure proprio la Teva ha fatto sapere che la sua offerta di acquisto è vincolata alla rinuncia da parte di Mylan all’acquisto di Perrigo. Si prospetta perciò un intrigo finanziario il cui esito è difficilmente prevedibile. Tanto più che la stessa Mylan, la settimana scorsa, di fronte ai rumors di un possibile matrimonio con Teva aveva spiegato come a suo avviso un’operazione del genere abbia poche chance di essere approvata dalle autorità che vigilano sulla concorrenza. Il presidente esecutivo del consiglio di amministrazione di Mylan, Robert Coury, ha spiegato di aver «già esaminato una fusione potenziale con Teva in passato» e di essere «convinto che non avrebbe logica industriale».
Al contrario, lo stesso numero uno dell’azienda statunitense ha dichiarato che l’operazione tra Mylan e Perrigo «creerebbe una piattaforma mondiale senza pari, con dei ricavi e delle sinergie operative importanti, ed un potenziale di crescita sul lungo termine», anche in funzione dei segmenti di mercato «particolarmente complementari» delle due industrie, sia in termini di produzione che di dislocazione geografica.
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