La Fondazione Gimbe ha presentato l’analisi aggiornata sullo stato di diffusione del Fascicolo sanitario elettronico (Fse) nelle Regioni italiane. I dati rivelano una situazione frammentata, con notevoli disparità territoriali. Attualmente, soltanto quattro tipologie di documenti sanitari sono disponibili in tutte le Regioni, mentre il consenso alla consultazione dei dati da parte dei cittadini raggiunge una media nazionale del 42%, con picchi del 92% in Emilia-Romagna e dell’1% in Abruzzo, Calabria e Campania. L’indagine ha esaminato diversi aspetti, tra cui la tipologia e la disponibilità dei documenti, i servizi digitali offerti, le percentuali di consenso e l’utilizzo da parte di cittadini e professionisti sanitari. Emerge un quadro in cui la trasformazione digitale procede a ritmi disomogenei, rischiando di acuire le disuguaglianze nell’accesso alle cure.

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Documenti e servizi: una copertura a macchia di leopardo

Il decreto del ministero della Salute del settembre 2023 ha stabilito i contenuti minimi del Fse 2.0, ma la loro implementazione varia. Solo quattro documenti – lettera di dimissione ospedaliera, referti di laboratorio e radiologia, verbale di pronto soccorso – sono presenti in tutte le Regioni. Altri, come il profilo sanitario sintetico o le prescrizioni, sono disponibili in oltre l’80% dei territori, mentre la cartella clinica è accessibile solo in Veneto. Anche l’offerta di servizi digitali presenta forti discrepanze. Mentre Toscana e Lazio superano il 50% dei servizi attivati, la Calabria si ferma al 7%. Sebbene molte funzionalità siano fruibili tramite canali alternativi, la mancata integrazione nel Fse limita l’efficacia di una piattaforma unica, ostacolando il monitoraggio nazionale.

Utilizzo e fiducia: le sfide per il futuro

Nonostante l’alta adozione tra medici di medicina generale e pediatri (95%), solo il 21% dei cittadini ha consultato il proprio Fse nei primi tre mesi del 2025. Le differenze regionali sono marcate: dall’1% delle Marche al 65% dell’Emilia-Romagna. Nel Mezzogiorno, l’utilizzo rimane sotto l’11%, riflettendo una diffidenza diffusa verso la sicurezza dei dati. Tra i medici specialisti, il 72% è abilitato all’uso del Fse, con punte del 100% in 12 Regioni e valori minimi in Liguria (16%).

«Fse è spesso un contenitore semivuoto»

Nico Cartabellotta, presidente del Gimbe, ha osservato che «in alcune Regioni il Fse è uno strumento pienamente operativo, grazie alla quantità di documenti presenti, al consenso dei cittadini ed al loro effettivo utilizzo. In altre, soprattutto nel Mezzogiorno, il Fse è spesso un contenitore semivuoto e scarsamente utilizzato anche per l’elevata diffidenza sulla sicurezza dei dati da parte della popolazione. Ma la sanità digitale non può essere un’innovazione per pochi: servono investimenti e una governance centralizzata per garantire diritti a tutte le persone indipendentemente dal luogo in cui vivono».

Dati accessibili ai cittadini e ai professionisti

Dunque, secondo Cartabellotta «se vogliamo davvero attuare una sanità digitale, i dati devono essere accessibili non solo ai cittadini, ma a tutti i professionisti coinvolti nei percorsi clinico-assistenziali, perché la tecnologia è necessaria, ma non sufficiente. Ecco perché serve un patto nazionale per la sanità digitale tra Governo, Regioni e cittadini, che assicuri completezza nei contenuti del Fse e uniformità di accesso in tutte le Regioni. Altrimenti, rischiamo che la straordinaria opportunità offerta dalla trasformazione digitale, di cui il Fse costituisce la “combinazione” di accesso, finisca per generare nuove diseguaglianze».

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