ENPAF-parafarmacieMercoledì 3 aprile, il presidente di ENPAF, Emilio Croce, ha convocato le sigle rappresentative dei farmacisti per un esame della situazione della cassa di previdenza dei farmacisti, alla luce della grave crisi occupazionale, dunque anche contributiva, che investe il Paese e inevitabilmente anche i farmacisti. Una crisi che ha investito tutto il comparto della farmaceutica a cominciare dalle case farmaceutiche, sull’onda di eventi già annunciati, come la forte penetrazione sul mercato dei generici, e la crisi economica di questi ultimi anni che ha costretto le Regioni a fare tagli sempre più consistenti sul farmaco. In altre parole è finita l’epoca di bengodi, cosicchè anche la farmacia che ha sempre potuto contare su una “politica” compiacente, oggi si trova a fare i conti con la stessa crisi economica che attanaglia il Paese.

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Una farmacia che oggi grida aiuto perché non ha più gli utili di un tempo, dunque non permette ai suoi titolari di mantenere i livelli di vita cui da sempre sono abituati. In questo quadro, come ogni impresa, guarda prima di tutto al profitto e inevitabilmente cerca di tagliare sui costi, a cominciare dal personale, specie quello più costoso: i farmacisti. Poi naturalmente si cerca di tagliare su quei costi che hanno il vago sapore di “solidarietà sociale” o come si dice oggi welfare, di qui la proposta di Federfarma di eliminare la trattenuta dello “0,90%” che le ASL effettuano alle farmacie per versarlo nelle casse di ENPAF.

ENPAF, il dibattito

Un dibattito, questo dei contributi da versare ad ENPAF, che riguarda anche i farmacisti titolari di parafarmacia. Ricordiamo che proprio sulla obbligatorietà dei versamenti contributivi a ENPAF, nel 2007 ANPI prese l’iniziativa, presso la direzione nazionale dell’INPS, di permettere al farmacista titolare di parafarmacia di scegliere se versare i propri contributi a INPS oppure a ENPAF. Una iniziativa che non ebbe successo per il contrasto legislativo tra lo status commerciale dell’esercizio e lo status professionale di carattere sanitario del farmacista. Un contrasto che in questi casi privilegia lo status professionale dell’operatore sanitario, dunque contributi all’ENPAF per legge. Una legge ideata in tempi nei quali l’esercizio della parafarmacia non poteva essere immaginato, le stesse limitazioni legislative che in questi anni abbiamo contestato ogni qualvolta abbiamo dovuto subire limitazioni all’esercizio della professione di farmacista in parafarmacia. Oggi ci troviamo di nuovo di fronte alla necessità di guardare avanti e di sollecitare quelle soluzioni di carattere professionale che in questi anni non abbiamo ottenuto.

Volendo esaminare le vicende che in questi ultimi due anni hanno riguardato il “mondo” della farmacia, risulta evidente a tutti quello che ANPI con cadenza mensile evidenzia: mentre l’industria farmaceutica e la farmacia riducono il personale per le ragioni già espresse, il numero di parafarmacie aumentano di mese in mese offrendo occupazione e nuove modalità di espressione della professione di farmacista.

Fatti incontrovertibili che fanno della parafarmacia un soggetto dinamico in grado di dare una scossa ad un vecchio sistema di distribuzione del farmaco che oggi segna il passo e per il quale è necessaria una seria e radicale riforma. Una riforma che dovrà riguardare non solo gli attori della distribuzione consentendo l’introduzione del binomio farmacia tradizionale-farmacia non convenzionata, ma anche nuove modalità di remunerazione della farmacia per la distribuzione del farmaco convenzionato (unica centrale di acquisto del farmaco da parte delle ASL con ruolo centrale delle farmacie che operano sul territorio, specie quelle presenti nei piccoli comuni), rivedere i meccanismi di elezione dei rappresentanti locali e nazionali della FOFI che garantiscano la presenza proporzionale di rappresentanti di ogni esperienza della professione, infine rivedere i meccanismi contributivi dei farmacisti all’ENPAF.

Con riferimento a quest’ultimo punto bisogna avere il coraggio di superare i vetusti criteri di salvaguardia degli interessi dei titolari di farmacia contrari da sempre al criterio di progressività dei contributi in ragione del reddito percepito. Su questo punto è necessario essere chiari: o si sceglie il criterio che più ha più versa oppure la nostra prossima rivendicazione sarà quella di uscire da ENPAF per confluire in INPS. Non possiamo accettare proposte della Presidenza che prevedano aumenti lineari della contribuzione. In ultima analisi meglio prendere atto, da oggi, che il bilancio dell’ente nel medio/lungo periodo non è sostenibile e dunque avviare, prima che sia tardi e dispendioso, la confluenza di ENPAF in INPS.

Un fatto è certo, l’anomalia contributiva di ENPAF che prevede il versamento da parte dei titolari non già in percentuale sul reddito come avviene per tutte le altre casse previdenziali, oggi emerge in tutta la sua gravità e non ci si risponda che la compensazione è data dal versamento dello “0,90%”. Oggi bisogna avere il coraggio di dire che la cassa di previdenza ENPAF è disegnata e regolata su una tipologia di farmacista degli anni 50, tempi nei quali il farmacista titolare di farmacia la faceva da “padrone”.

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