«In passato siamo stati tra i primi a proporre una ridefinizione dei rapporti tra distribuzione diretta e distribuzione per conto. Lo abbiamo fatto in nome della valorizzazione professionale della farmacia territoriale e della priorità dei bisogni del paziente. Oggi, proprio per mantenere fede a quegli stessi obiettivi, non crediamo che la Dpc debba sostituire in toto la diretta, e che la Dpc così come immaginata da alcuni sia la soluzione migliore per la farmacia del futuro». È l’opinione di Francesco Schito, segretario Assofarm, il quale ha illustrato tale visione a margine del dibattito generato dall’intervento della vice coordinatrice alla Salute della Conferenza delle Regioni Letizia Moratti, alla Commissione Affari Sociali della Camera in occasione dell’indagine conoscitiva sulla distribuzione dei farmaci.

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Al centro le dichiarazioni di Moratti

Schito evidenzia «come noto a chiunque segua la stampa di settore, il tutto nasce da una differenza tra parole scritte e parole pronunciate. Da un lato, il documento ufficiale delle Regioni precedentemente diffuso definisce la distribuzione diretta come un sistema del tutto integrabile con l’attuale processo di riforma della sanità nazionale, anche tramite l’erogazione di farmaci a domicilio del paziente o direttamente presso le Case di Comunità o Ospedali di comunità. Dall’altro, le dichiarazioni dell’assessore Moratti in cui si chiede se “sia ancora vero il messaggio per cui la distribuzione diretta è vitale per il sistema” e in cui precisa che questa modalità “non è vero che non crea disagi, perché spesso il cittadino non abita vicino alla struttura, gli orari di distribuzione sono ridotti e contingentati”». Secondo Schito sono «parole, quelle dell’assessore lombardo, che hanno spinto la Società italiana di farmacia ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle aziende sanitarie (Sifo) a chiedere alle Regioni un chiarimento definitivo sulla propria posizione ufficiale».

Complessità del tema

Il dirigente evidenzia come «le fibrillazioni del dibattito in questione restituiscono la complessità del tema e la portata della posta in gioco. Al di là delle differenti prospettive, nessuno dubita sul fatto che dai meccanismi che regoleranno la nuova remunerazione della farmacia dipenderà il ruolo futuro che essa potrà avere nella nuova sanità territoriale. In attesa che le posizioni delle diverse parti vengano chiarite, ad Assofarm preme rimarcare il proprio punto di vista, così come definito lo scorso dicembre nella Giornata Nazionale delle Farmacie Comunali e sancito nel cosiddetto Patto di Genova. Punto di vista coincidente con quello del presidente della Fondazione ReS Nello Martini, già esposto al nostro incontro ligure e sostanzialmente rimarcato nella sua audizione in Commissione Affari Sociali qualche giorno fa».

Distribuzione diretta e poi Dpc

Alla luce di quanto evidenziato, Schito sottolinea che «noi crediamo che la distribuzione diretta debba essere mantenuta per il primo ciclo terapeutico successivo alla dimissione ospedaliera del paziente, ciò al fine di valorizzare la contiguità tra consegna di farmaci e controlli specialistici. La distribuzione diretta deve continuare anche per quei farmaci (gli oncologici, anticorpi monoclonali, farmaci per malattie autoimmuni, per l’HIV, per il trattamento di malattie rare e sclerosi multipla) la cui complessità di somministrazione è incompatibile con le farmacie territoriali».

Valorizzare unicum distributivo della farmacie

Inoltre, evidenzia Schito, «crediamo altresì, in pieno accordo con quanto detto dal dottor Martini, che un puro ampliamento della Dpc nelle sue dinamiche odierne esporrebbe la farmacia ad un ruolo di puro terzista: il farmacista ordina il farmaco presente nella prescrizione e lo dispensa senza conoscerne il profilo sanitario, benefici e rischi. Una situazione che nel medio periodo ridurrebbe, invece che aumentare, le prospettive di sostenibilità economica e strategica della farmacia territoriale, perché rischierebbe di metterla in diretta competizione con altri player della logistica. Ben diversa sarebbe invece la possibilità per le farmacie di acquistare direttamente dall’industria i farmaci, ad una tariffa unica nazionale e comprendente gli sconti di legge oggi applicati alle Asl. Questa soluzione valorizzerebbe l’unicum distributivo della farmacie e stimolerebbe lo sviluppo delle competenze scientifiche del farmacista».

Mantenimento diretta

Dunque «il mantenimento della diretta su fronti terapeutici critici focalizzerebbe il ruolo della farmacia ospedaliera negli ambiti assistenziali in cui è davvero insostituibile. Il meccanismo degli acquisti diretti ad una tariffa unica nazionale, svolta che gode già del favore dei produttori, stimolerebbe una maggiore professionalizzazione del farmacista territoriale, risolverebbe le inaccettabili differenze regionali in tema di accesso ai farmaci, e al contempo libererebbe le regioni dagli impegni burocratici degli acquisti. Infine, il cittadino potrebbe godere di una sanità centralizzata quando i suoi problemi di salute lo richiedono, ma avrebbe al contempo una sanità massimamente territoriale non appena è nelle condizioni per poter usufruire dei suoi vantaggi logistici». Schito conclude evidenziando che «se è sempre vero che la dialettica è preziosa nella misura in cui porta ad una sintesi che soddisfa tutti i partecipanti al dibattito, ciò lo è ancor di più per la sanità territoriale italiana. Se davvero vogliamo che quest’ultima sia tanto complessa quanto efficace, tanto duttile quanto specializzata, dovremmo favorire in ogni modo percorsi quanto più inclusivi per tutti gli attori in campo».

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