dpc campaniaFederfarma nazionale, Federfarma Campania, e le associazioni provinciali di Benevento, Avellino e Caserta, hanno presentato un ricorso al Tar per chiedere l’annullamento, previa sospensione cautelare, del decreto numero 97, emesso il 20 settembre 2016 (e pubblicato nel Burc n. 69 del 17 ottobre 2016) da parte del commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Campania, con il quale venivano fissate disposizioni sulla distribuzione dei farmaci in nome e per conto, nonché l’elenco unico della tariffa massima di remunerazione e altre regole per la disciplina del servizio a livello regionale. I ricorrenti ritengono che l’atto sia «gravemente lesivo» dei loro diritti e interessi e ricordano come le associazioni di Avellino, Benevento e Caserta abbiano «sottoscritto distinti accordi con le rispettive Asl per disciplinare la DPC», ma che essi «sono stati illegittimamente resi vani dal decreto 97». Nel testo si spiega ad esempio che il decreto legislativo n. 153 del 2009 stabilisce che «i nuovi servizi assicurati dalle farmacie nell’ambito del Ssn, nel rispetto di quanto previsto dai Piani socio-sanitari regionali, e previa adesione del titolare della farmacia concernono», tra le altre cose, «la dispensazione per conto delle strutture sanitarie dei farmaci a distribuzione diretta». Ebbene, secondo le Federfarma campane «è evidente che la previa adesione del titolare è una condizione essenziale affinché tale servizio sia svolto dalla farmacia» e che «il decreto impugnato ha palesemente violato la legge in quanto ha deliberatamente omesso il previo accordo con i farmacisti». Quanto all’elenco unico regionale dei farmaci da erogare in DPC, che il decreto 97 spiega essere stato «elaborato dal Centro Interdipartimentale di Ricerca in Farmacoeconomia e Farmacoutilizzazione dell’università degli studi di Napoli Federico II», esso è secondo i ricorrenti «frutto di una mera elaborazione unilaterale, condotta dal centro di ricerca di cui sopra, senza che la regione abbia avvertito la benché minima esigenza di prevedere un contraddittorio con i rappresentanti delle associazioni sindacali». «Tutto ciò – prosegue il documento – va ribadito anche per le tariffe previste dal decreto per la remunerazione del processo distributivo del farmaco in DPC». L’atto regionale indica che la tariffa massima che può essere riconosciuta è pari a 6 euro oltre Iva per ciascuna confezione di farmaco (1,5 euro oltre Iva per le farmacie rurali sussidiate): «Ebbene anche qui sarebbe stato necessario coinvolgere le associazioni sindacali, tanto più che lo stesso decreto ammette che “i contratti di DPC vigenti a livello di singola Asl con le associazioni provinciali di Federfarma e con Assofarm sono eterogenei relativamente all’elenco dei farmaci oggetto dell’accordo, nonché per le modalità e l’ammontare della remunerazione dei servizi». Il ricorso propone quindi una lunga serie di altre argomentazioni, tra le quali quella secondo la quale «il decreto impugnato, imponendo l’obbligo di controllare il comportamento prescrittivo del medico, oltre a incidere direttamente sul delicato rapporto tra medico e farmacista, finisce per coartare illegittimamente la scelta del medico di prescrivere la terapia ritenuta più opportuna».

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