La questione dell’obbligo della doppia contribuzione Inps e Enpaf rappresenta uno delle criticità principali per tutti i farmacisti collaboratori. È una norma che risale al 1946 ad imporre tale situazione e, inoltre, il meccanismo regolamentare, unico nel suo genere nelle casse private, porta alla perdita della riduzione per gli iscritti in caso di mancanza dei “requisiti” richiesti.
A spiegarlo è la Federazione Nazionale Associazioni Farmacisti non Titolari (Conasfa), secondo la quale «la soluzione ai problemi degli iscritti creati dal regolamento Enpaf potrebbe risiedere in “modifiche regolamentari” in linea con quelle di altri enti previdenziali privati. Per fare un esempio, alcune casse permettono, economicamente, la continuità d’iscrizione all’Albo professionale anche in mancanza di esercizio della professione (come succede per i medici con l’Enpam). Quest’ultimo aspetto potrebbe risolvere oltretutto l’annoso problema della difficoltà di accesso ai concorsi pubblici (nella P.A. e per sedi farmaceutiche) per tutti i farmacisti non iscritti all’Albo che non esercitano la professione di farmacista, e che oggi si vedono ostacolati nell’accesso a questi concorsi in quanto, per la sola iscrizione al concorso, devono pagare la quota intera Enpaf (che per il 2017 è pari a 4.467 euro)».
Il dito è dunque puntato contro il regolamento Enpaf, che – prosegue la Conasfa – «ha generato e continua a generare casi di difficoltà», talmente importanti da comportare che «molti colleghi si vedono costretti ad abbandonare la professione di farmacista. Il piccolo passo compiuto dall’Enpaf, della riduzione della quota annuale per i disoccupati, usufruibile solo dagli iscritti dopo il 2004, ha creato gran malcontento tra gli iscritti prima del 2004, per una situazione di disparità di trattamento. Mentre l’allungamento della finestra di disoccupazione da 5 a 7 anni (anche con periodi frazionati) per mantenere la riduzione, rimane inadeguata in tempi di precarietà lavorativa, che può protrarsi per periodi ben più lunghi». Secondo l’associazione di categoria, infatti, «la mission di un ente previdenziale dovrebbe essere soprattutto quella di tutelare le fasce più deboli dei suoi iscritti. Nel caso dell’Enpaf c’è grande ambiguità, in quanto se da una parte l’istituto si prodiga con un regolamento assistenziale per aiutare i casi più critici tra i farmacisti, dall’altra continua a penalizzare tanti altri dipendenti, precari e disoccupati con un regolamento unico nel suo genere, e fortemente in contrasto col principio secondo il quale le quote previdenziali andrebbero versate in ragione della “capacità contributiva”. È per questo che chiediamo con estrema urgenza una riforma normativa dell’ente che preveda il passaggio al metodo contributivo».
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