L’iter del decreto legge fiscale, già approvato a Palazzo Madama e attualmente al vaglio della Camera, sarà “bilndato”. A riferirlo è il Sole 24 Ore, che ricorda come il provvedimento scade il 15 dicembre: per quella che rappresenta «una delle due gambe della manovra all’esame del Parlamento insieme alla legge di Bilancio», il governo e la maggioranza parlamentare puntano dunque a stringere i tempi. La notizia è trapelata all’ufficio di presidenza della commissione Bilancio di Montecitorio nella giornata di martedì 21 novembre. Il giorno seguente, alle 17, si è chiusa inoltre la finestra utile per la presentazioni degli emendamenti (anticipo rispetto a quanto previsto inizialmente). «L’opportunità di non correggere il testo approvato la settimana scorsa da Palazzo Madama – prosegue il quotidiano economico – è tra l’altro motivata dall’approssimarsi delle prime scadenze fiscali previste dal provvedimento (il 7 dicembre sono in pagamento le rate previste dalla rottamazione scadute a luglio e ottobre scorso, già prorogate al 30 novembre)». Occorrerà però vagliare tutti gli emendamenti depositati dai gruppi: il totale delle proposte di modifica supera quota 700. Ciò nonostante, i lavori parlamentari puntano sulla velocità: l’approdo in Aula alla Camera per il provvedimento è stato fissato già per il pomeriggio di lunedì 27 novembre. Come riportato da FarmaciaVirtuale.it, il decreto contiene anche una norma introdotta attraverso un emendamento firmato dai senatori Andrea Mandelli e Luigi d’Ambrosio Lettieri, attraverso la quale viene disposto l’adeguamento delle soglie di fatturato al di sotto delle quali scattano le agevolazioni sullo sconto dovuto al Servizio Sanitario Nazionale. La Fofi ha specificato in proposito che «per le farmacie rurali il fatturato non deve superare i 450.000 euro e che, per le altre farmacie, la riduzione dello sconto scatterà in caso di fatturato annuo in regime di Servizio sanitario nazionale al netto dell’imposta sul valore aggiunto non superiore a 300.000 euro». Le soglie attuali risultano pari rispettivamente a 750 e 500 milioni di vecchie lire, cifre considerate dalla stessa Fofi «ormai inadeguate, anche soltanto considerando l’inflazione dovuta al passaggio all’euro».
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