Le malattie croniche sono una sfida per il Servizio sanitario italiano, con un impatto economico che continua a crescere. Secondo i dati presentati al Symposium sulla Medicina dei sistemi, organizzato con il supporto di Guna, azienda leader nella low dose medicine, i pazienti cronici in Lombardia costituiscono il 30% della popolazione ma assorbono più del 70% della spesa sanitaria regionale. In particolare, come precisato dai promotori dell’iniziativa, «la mancata aderenza, da parte dei pazienti, alle terapie prescritte aggrava le patologie croniche, aumentando le ospedalizzazioni e incrementando, di conseguenza, il costo a carico dei servizi sanitari regionali».
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Paziente cronico può costare fino a 21 volte in più
Secondo uno studio presentato dal Prof. Giorgio Lorenzo Colombo del Centro di Economia e valutazione del Farmaco e delle Tecnologie sanitarie (Cefat), «il costo, in termini di spesa sanitaria, di un paziente cronico può essere fino a 21 volte superiore rispetto a quello sostenuto per un paziente non affetto da cronicità. Non solo: se il caso preso in esame è quello di un soggetto con la compresenza di ben quattro patologie croniche, nel caso di un soggetto poli-patologico più grave il rapporto può essere addirittura superiore. Il dato, tuttavia, non è indifferente neppure nei soggetti con “solo” tre patologie croniche (spesa 12 volte superiore), due (spesa 7 volte superiore) e una sola patologia cronica (spesa 4 volte superiore) ed evidenzia, quindi, come la cronicità assorba quote progressive delle risorse che servono a tutelare la salute collettiva».
Balzo della spesa per la cronicità
Il Prof. Colombo ha sottolineato «come, nelle prime due decadi degli anni Duemila, la spesa per la cronicità abbia registrato un balzo allarmante e un incremento progressivo, arrivando quasi a raddoppiare nel decennio tra il 2005 e il 2015. Questo, dunque, per chi si occupa di osservare la sostenibilità del nostro modello di welfare anche da un punto di vista socioeconomico, è un dato che deve preoccupare in considerazione del progressivo invecchiamento della popolazione italiana».
Gestione paziente cronico anche epidemiologico, gestionale e organizzativo
Colombo ha rilevato che «se consideriamo che un italiano incide, mediamente, sul Servizio sanitario nazionale per circa 2mila euro, nel caso di un paziente cronico con quattro patologie, che non è una particolare rarità se pensiamo, per esempio, ai diabetici, questa cifra può arrivare fino a 42mila euro e oltre. La gestione del paziente cronico non può, però, essere valutata esclusivamente dal punto di vista clinico, ma deve essere fatta anche a livello epidemiologico, gestionale e organizzativo: in Italia, rispetto a Paesi dal medesimo livello di sviluppo, si arriva a intercettare la patologia con un ritardo di 3 o 4 anni, quando, spesso, è ormai arrivato il momento di iniziare le terapie. Ecco dobbiamo partire da questo».
Le strategie per migliorare lo scenario attuale
Quanto alle strategie suggerite per mitigare gli esiti dello stato attuale, secondo Colombo bisogna implementare «programmi di auto-monitoraggio e auto-gestione dei medicinali, maggiori spiegazioni in merito all’utilità dei farmaci e ai danni della loro scorretta assunzione, coinvolgimento diretto dei farmacisti nella gestione dei farmaci, semplificazione degli schemi terapeutici da adottare». Oltre al tema dell’aderenza, è emerso come sia necessario affrontare anche l’eccessivo carico farmacologico (overtreatment) ed il rischio ad esso correlato delle interazioni farmacologiche soprattutto nel soggetto fragile multi-patologico e politrattato.
Pizzoccaro (Guna): «Ripensare l’approccio terapeutico»
Alessandro Pizzoccaro, presidente di Guna, ha spiegato che «se vogliamo affrontare davvero la questione della sostenibilità del sistema sanitario dobbiamo ripensare l’approccio terapeutico, dando spazio anche a soluzioni che possano diminuire, dove necessario, il numero di farmaci al paziente politrattato. Basti pensare che, in Italia, tra gli over 65 che fanno uso di farmaci, la quota maggiore (28,5%) è rappresentata da coloro che assumono 10 o più medicinali, mentre meno del 10% rientra nella fascia di chi ne assume da 1 a 9».
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