crisi farmaciaLa crisi economica, che si è fatta sentire con conseguenze pesanti anche nei tradizionali settori di impiego dei farmacisti, è finalmente passata? Stando ai dati che si vedono riportati negli ultimi mesi dai media, sembrerebbe intravedersi una luce in fondo al tunnel. Ma, come spesso accade, la percezione del Paese reale, che ha a che fare tutti i giorni con come far quadrare i conti a fine mese, è assai diversa. FarmaciaVirtuale.it ha chiesto l’opinione dei colleghi con un sondaggio, a cui hanno partecipato in particolare titolari/direttori di farmacia, ma anche farmacisti collaboratori e in cerca di lavoro. Lo spaccato che emerge non si può dire che sia roseo: per il 50,3% il periodo più difficile è ancora pienamente in corso, e per il 30,6% è addirittura destinato a continuare e peggiorare ancora. Per il 18% è invece avviato a una soluzione, che avrà comunque ancora bisogno di molto tempo. Solo l’1,1% afferma che è ormai alle spalle.

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Tra i problemi che affliggono oggi la professione farmaceutica quello considerato più grave è la degenerazione del quadro legislativo, che ha subito interventi pesanti, come ad esempio la legge 405/01 sulla distribuzione da parte delle Asl o la legge Bersani. Quasi un collega su due, il 44 per cento, valuta questo fattore come “estremamente importante”. Seguono la perdita di immagine, ruolo e funzione, e quindi di rilevanza e spazi economici, di farmacia e farmacisti, e poi la disoccupazione e la sottoccupazione, soprattutto giovanile. Tra tutte queste, la questione indicata come meno rilevante è l’obbligo di contribuzione Enpaf per chi è iscritto all’Ordine. Le valutazioni su quali siano i maggiori responsabili della crisi occupazionale attuale sono coerenti con i problemi avvertiti come i più pressanti: per il 50,3% la situazione è da imputare al governo e al Parlamento. Il 16,4% indica invece Fofi e gli Ordini dei farmacisti, il 9,3% Federfarma, il 6% l’università, il 3,3% le Regioni e il 2,2% l’Enpaf. A ben vedere, quindi, i maggiori “colpevoli” risulterebbero i decisori politici, seguiti, seppur a una consistente distanza, dai principali organi di categoria, gli Ordini e il sindacato. A dispetto, invece, di un certo accanimento che a volte emerge nei confronti dell’ente previdenziale, la sua responsabilità sul fronte caldo dell’occupazione sarebbe limitata. Ci sono comunque anche colleghi che additano tutti questi soggetti insieme, o le grandi società di capitali che cercano di entrare in farmacia, o i titolari stessi di farmacia e parafarmacia, che talvolta praticano l’abusivismo professionale preferendo far stare dietro al bancone chi non è laureato per pagarlo meno.

Ma di fronte a questo quadro, che fare? La stragrande maggioranza dei colleghi (68,9%) non ha dubbi: ampliare la rosa di competenze e professionalità del farmacista inserendone la figura professionale anche in altri ambiti, ad esempio le cliniche private, le case di cura, le grandi navi. Per più di uno su tre (36,1%) occorre intensificare la lotta all’abusivismo professionale, e per uno su cinque (20,8%) limitare l’accesso alla professione inasprendo gli esami di Stato o limitando i posti nelle facoltà. Il 18,6% indica di vincolare il numero di farmacisti al fatturato Ssn della farmacia, il 18% di togliere i vincoli geografici e demografici che limitano l’apertura di nuove farmacie e il 14,6% di migliorare l’interscambio di informazioni su cerca-offro lavoro. C’è poi chi suggerisce di aprire all’insegnamento scolastico di materie scientifiche, e chi, infine, con rassegnazione, pensa che «non se ne esce», e intravede per i farmacisti un futuro da «schiavi poveri o poveri liberi» per colpa dell’ingresso in farmacia dei capitali.

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