cassazione-pecLa Corte di Cassazione ha dichiarato non ammissibile un ricorso che è stato presentato da una società a seguito del mancato ottemperamento ad un ordine del tribunale che era stato comunicato via PEC all’indirizzo del difensore della parte contribuente. Ma che quest’ultimo non ha ricevuto per un problema tecnico: «La ricevuta della comunicazione telematica – riferisce la rivista dell’Agenzia delle Entrate Fisco Oggi – riportava il messaggio di “errore” per “casella piena” e il conseguente avviso “il messaggio è stato rifiutato dal sistema”. L’ordinanza è stata, quindi, depositata in cancelleria e di ciò, evidentemente, il difensore della parte non ha avuto notizia». La Cassazione, nel merito, «ha ritenuto che la procedura seguita dalla cancelleria sia stata corretta, poiché la consegna telematica del messaggio PEC derivata dalla “casella piena” va considerata una conseguenza dell’inadeguata gestione della posta elettronica da parte del titolare dell’utenza. I giudici hanno pertanto ritenuto che si versasse in una di quelle ipotesi dettate dall’articolo 16, comma 6, del decreto legge n. 179/2012, secondo il quale le notifiche e le comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata (è il caso di tutti coloro che sono iscritti ad un ordine professionale, ndr) sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria in tutte le ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario». La normativa vigente, infatti, «contempla come modalità normale delle comunicazioni, accanto alla consegna diretta, la trasmissione del biglietto di cancelleria a mezzo posta elettronica certificata, “nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”».
Dunque, prosegue Fisco Oggi, «il Collegio supremo ha statuito che, nella specie, il mancato recapito della PEC contenente la notifica dell’ordinanza derivata dalla “casella piena” fosse da imputare ad una “mala gestio” da parte del titolare dell’utenza dello spazio di archiviazione dei messaggi necessario ai fini del corretto funzionamento della casella stessa e, quindi, della corretta ricezione dei messaggi certificati».

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