cannabis-terapeuticaUn gruppo di deputati del gruppo Fratelli d’Italia ha presentato una risoluzione presso le commissioni Affari sociali e Agricoltura della Camera, in materia di disposizioni sulla promozione della coltivazione e della filiera agroalimentare della canapa. «il termine “cannabis legale” – spiegano i parlamentari – mira ad individuare in modo semplificato e discorsivo quel tipo di canapa che presenta un principio attivo inferiore al limite di 0,6 per cento, introdotto, quale deroga dal limite principale, pari allo 0,2 per cento». Dunque «la disposizione in questione si pone come lex specialis rispetto alla disciplina dettata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, che governa i profili penali del diritto degli stupefacenti, introducendo un limite di tolleranza legale in materia di presenza di THC addirittura superiore a quello individuato con alcune pronunzie dalla Suprema Corte di cassazione che ha determinato la soglia nello 0,5 per cento».

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«Tale nuovo quadro legislativo – aggiungono i deputati – se da un lato ha rilanciato la produzione italiana di canapa, una pianta dalle numerose potenzialità in molteplici ambiti di utilizzo, dall’altro ha avuto l’effetto collaterale di aprire il varco alla cannabis a basso contenuto di THC legale per uso ricreativo. Perciò, gli imprenditori più lungimiranti hanno approfittato per sfruttare immediatamente la possibilità di commercializzare liberamente le infiorescenze ottenute dalle coltivazioni legali: se il prodotto venduto espressamente per essere fumato violerebbe diverse normative sanitarie, non esistono, invece, norme esplicite che vietino la commercializzazione della cannabis e/o dei suoi derivati come deodoranti per ambienti, tisane, biscotti, torte o articoli da collezione. Per l’ordinamento italiano, infatti, se qualcosa non è vietato espressamente equivale ad essere permesso. Intanto, grazie a questo nuovo business, sono molte le persone che si “avvicinano alla marijuana”».

Inoltre, denunciano la risoluzione, «negli ultimi mesi, in Italia, sono stati oltre seicento i punti vendita (“Green shop”) aperti, che commercializzano vari prodotti a base di cannabis, dagli olii alle tisane, alle bevande energetiche fino ai biscotti». Per questo si chiede al governo «di adottare un’apposita iniziativa normativa che riconosca che tutti i prodotti derivati dalla canapa sativa, a base di infiorescenze, non possano essere utilizzati nella preparazione di alimenti e cosmetici, nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori, e che escluda la produzione delle infiorescenze, qualunque sia il contenuto percentuale di THC». Si propone inoltre di «promuovere una revisione della normativa in materia di coltivazione, raccolta e trasformazione delle piante officinali» e di «assumere, per quanto di competenza, le opportune iniziative normative volte ad introdurre il divieto di importazione e commercializzazione della canapa a basso contenuto di THC a fini ricreativi, nonché a sanzionare penalmente l’istigazione all’uso di droghe». Infine, si chiede di «adottare specifiche iniziative in materia di marchi, di pubblicità ingannevole o di concorrenza sleale, a garanzia dell’esclusione del pericolo di confusione tra prodotti venduti nei cosiddetti “Green Shop” e quanto venduto nelle farmacie».

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