Dopo la proposta di far pagare i bollettini postali in farmaci, da numerosi rappresentanti della categoria è arrivato un secco no. Il segretario della Fofi Maurizio Pace ha spiegato che «è con grande disappunto che vediamo confondere il concetto di “farmacia dei servizi” con la possibilità di rendere dei servizi che nulla hanno a che fare con la professionalità e le competenze del farmacista, e neppure con la vita amministrativa del Servizio sanitario nazionale, quali il CUP e le altre attività di supporto alle prestazioni territoriali». Il dirigente della Federazione degli Ordini ha quindi aggiunto: «Perché allora non vendere ricariche telefoniche o biglietti dei mezzi pubblici? E a questo proposito sembra si dimentichi un altro aspetto: che cosa dovrebbero pensare gli studenti dei corsi di laurea in farmacia? Che hanno intrapreso un percorso di studi lungo, e oneroso economicamente, per smaltire le bollette della luce?». La Fofi conclude spiegando che «iniziative di questo genere costituiscono un passo indietro nell’evoluzione del ruolo del farmacista, e un regalo inaspettato a chi ritiene che la farmacia sia, in fin dei conti, un’attività economica come un’altra».
Sulla stessa lunghezza d’onda Roberto Tobia, presidente di Federfarma Palermo, secondo il quale «a furia di liberalizzazioni temo che qualcuno cominci a fare confusione e a convincersi che un supermercato possa diventare una farmacia e che una farmacia possa diventare un supermercato». A suo avviso far pagare bollettini postali in farmacia «non ha nulla a che vedere con il ruolo della farmacia, centro di eccellenza sanitaria, terminale del Servizio sanitario nazionale, porta d’ingresso del cittadino nel mondo della salute. Solo in particolari situazioni potrebbe essere concepibile, magari in zone rurali o disagiate dove la farmacia è l’unico presidio pubblico rimasto aperto, che tale servizio possa essere erogato, in favore della cittadinanza». Per Tobia si tratta di una «questione di coerenza: se da un lato ci battiamo contro l’ingresso del capitale nelle farmacie e contro la vendita dei farmaci nella grande distribuzione, non possiamo dall’altro lato pensare di rubare il lavoro a poste pubbliche e private, banche e tabaccai. Se commettessimo un simile errore, daremmo ragione a chi ci vede come dei semplici commercianti. A quel punto sarebbe veramente difficile difendere la nostra posizione, volta ad impedire la vendita dei farmaci di fascia C fuori dal canale farmacia: potremmo così rischiare che tali medicinali siano venduti anche nelle tabaccherie accanto a sigarette, caramelle e gratta e vinci».
Allo stesso modo, Franco Gariboldi Muschietti, presidente di Farmacieunite, ritiene che allargare i servizi delle farmacie ai bollettini postali «non rappresenti una soluzione per tutelare l’economia delle nostre farmacie e soprattutto per riaffermarne e potenziarne il ruolo di presidi sanitari del territori». «Non discuto – ha aggiunto – che si tratti di un servizio utile, ma lo è anche il rifornimento di carburante. Non per questo ci punge vaghezza di installare una colonnina di benzina davanti alla farmacia. Mi sembra che si tratti di trovate che hanno l’unico scopo di guadagnarsi sui giornali di settore un po’ di visibilità, che potrà tornare buona nelle consultazioni elettorali di categoria in programma tra qualche mese». Si tratta, ha concluso Gariboldi Muschietti, di idee «molto pericolose per l’immagine delle nostre farmacie e della nostra attività professionale».
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