Nuove prospettive in Italia per pazienti, caregiver e per il sistema sanitario con l’arrivo della prima immunoterapia oncologica sottocute, Atezolizumab. L’anticorpo monoclonale Atezolizumab sottocute (Sc) è stato sviluppato da Roche, una delle aziende biotecnologiche più grandi al mondo, fondata nel 1896 a Basilea e impegnata nello sviluppo di farmaci per ridefinire i trattamenti in oncologia. Atezolizumab ha ottenuto la rimborsabilità dell’Aifa con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, dopo l’approvazione a gennaio dell’Ema. Atezolizumab, fino ad oggi somministrato tramite infusione endovenosa (Ev) di 30-60 minuti, è disponibile adesso nella formulazione sottocutanea, approvata per le stesse indicazioni Ev, formulazione che offre significativi vantaggi a partire dal tempo di trattamento, che si riduce sensibilmente, passando dai 30-60 minuti necessari per l’Ev ai 4-8 minuti, con una media di circa 7, necessari per la Sc. La riduzione dell’80% del tempo migliora l’esperienza e la relazione di cura, la qualità di vita dei pazienti e di coloro che li assistono, oltre a ottimizzare l’efficienza del sistema sanitario, in un contesto in cui i bisogni di assistenza per le patologie oncologiche sono in aumento.

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Gli utilizzi di Atezolizumab nel tumore al polmone

Ne hanno parlato a Milano giovedì 5 dicembre 2024 docenti e addetti ai lavori in presenza della stampa specializzata, tra cui FarmaciaVirtuale.it, nell’incontro organizzato da Roche dal titolo «Immunoterapia sottocute nel paziente oncologico: l’innovazione che dà più valore al tempo». Gli intervenuti hanno messo in luce i diversi benefici portati dalla formulazione sottocutanea, in primis il direttore della Divisione Oncologica Toracica all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, Filippo De Marinis, che ha spiegato gli utilizzi di Atezolizumab nell’ambito del tumore al polmone. «La somministrazione del farmaco in 7 minuti porta un vantaggio in termini di semplificazione, garantisce maggiore efficienza e sostenibilità gestionale, rendendo il trattamento più compatibile con le dinamiche del day hospital». Atezolizumab viene utilizzato «nell’immunoterapia di prima linea del carcinoma a piccole cellule in fase avanzata insieme alla chemioterapia, nell’immunoterapia singola di prima linea per pazienti con Nsclc e iper-espressione del Pd-L1, nella terapia di seconda linea per pazienti Nsclc dopo precedente chemioterapia a base di platino e nella terapia adiuvante dopo chirurgia nei pazienti Nsclc, sempre con iper-espressione del Pd-L1». De Marinis ha precisato come «gli studi IMscin001 e IMscin002 abbiano dimostrato la stessa efficacia e sicurezza della formulazione sottocute rispetto a quella endovena, con una forte preferenza dei pazienti e degli operatori sanitari».

Migliorata la compliance al trattamento

In particolare, Federico Cappuzzo, direttore di Oncologia Medica 2 all’Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma, ha evidenziato le percentuali emerse dallo studio IMscin002. «La compliance al trattamento è migliore: l’80% dei pazienti oncologici preferisce l’iniezione sottocutanea all’infusione endovenosa, considerandola meno stressante». E anche Cappuzzo ha posto in evidenza come il trattamento più rapido e meno impegnativo migliori l’efficienza organizzativa.

L’uso nel carcinoma epatocellulare

Tra i tumori trattabili con Atezolizumab Sc figura anche il carcinoma epatocellulare, per il quale «l’arrivo della somministrazione sottocutanea rappresenta un cambiamento per la qualità di vita dei pazienti che vedono una riduzione del tempo di cura. Ciò consente di trattare il 50% in più circa di persone in una sola giornata», condizione che ricade positivamente in particolare su chi deve eseguire trattamenti combinati – una sola somministrazione endovenosa ed una sottocutanea –, essendo il trattamento Sc «meno invasivo e più tollerabile». A sottolinearlo è stato Massimo Iavarone, professore Associato di Gastroenterologia dell’Università degli Studi di Milano.

L’infermiere può concentrarsi interamente sul paziente

Beneficia di questa innovazione tecnologica anche la relazione di cura perché, richiedendo pochi minuti, «la Sc permette all’infermiere di concentrarsi interamente sul paziente, favorendo ascolto, dialogo e un rapporto più umano – ha affermato Gianluca Falcone, infermiere Ssd Oncologia Medica, Aou Policlinico Vanvitelli di Napoli –. Abbiamo bisogno di nuove strategie relazionali con il paziente per identificarne i bisogni». Il trattamento può essere dispensato in spazi più riservati rispetto alle tradizionali poltrone infusionali, l’organizzazione in day hospital, più snella ed efficiente, va a generare in seconda battuta ulteriori benefici per la figura del caregiver e per i familiari, riducendo il peso degli aspetti tecnici. «Il tempo è cura – ha chiosato con efficacia Falcone –. Mai sottovalutarne la qualità».

«Passo avanti nella direzione auspicata dai malati»

Anche la Commissione europea, nel 2021, ha sancito con chiarezza che sostenere la qualità della vita sia centrale per i malati oncologici. Lo ha fatto lanciando la Mission on Cancer, basata su tre pilastri che durante la conferenza sono stati ricordati da Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo): «Prevenire tutto il prevedibile, ottimizzare diagnostica e trattamenti, migliorare la qualità della vita, anche per assicurare ai guariti il ritorno all’attività produttiva, considerando che poter lavorare è un aspetto fondamentale strettamente legato, appunto, alla qualità di vita. La recente approvazione di Atezolizumab è un passo avanti nella direzione auspicata dai malati», espressa nella ricerca di più farmaci innovativi, nella riduzione degli effetti collaterali e nella semplificazione delle modalità di somministrazione, «aspetti che insieme alla diagnosi precoce hanno aumentato il numero dei guariti».

Gli sforzi di Roche nella ricerca

In proposito, il direttore Medico Roche Italia Anna Maria Porrini ha posto in rilievo come in Roche gli sforzi della ricerca siano focalizzati «non solo sulla scoperta di nuove molecole, ma anche sull’innovazione tecnologica, tra cui lo sviluppo di nuove formulazioni sottocute». Per il miglioramento (che impatta sul sistema sanitario) dell’esperienza di cura, dal punto di vista sia di chi la agisce, gli operatori, sia di chi la attende e la affronta, i pazienti.

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