assofarmOggi la farmacia italiana soffre di ciò che si nasconde tra il detto e il fatto al suo riguardo. È in questo spazio tra proclami e realtà che stanno prosperando dei falsi miti, apparenti riflessioni sotto le quali si perpetua l’inazione.
A parole tutti concordano sul fatto che la farmacia dovrà avere compiti suoi specifici e unici nel Sistema Salute Italiano di domani, ma nei fatti che dovrebbero seguire mancano sempre i passaggi che possono concretizzare le sue potenzialità sanitarie e di contenimento della spesa pubblica.
Questi passaggi concreti devono necessariamente risolvere la questione della sostenibilità economica dell’essere farmacia oggi. Oggi per domani.
E se passiamo in rassegna quanto sta avvenendo in tema di farmacia dei servizi, di nuova remunerazione del farmacista e di Convenzione con le Regioni, non possiamo certo dare per scontato che il composito mondo istituzionale si stia muovendo con decisione e chiarezza su questo aspetto.
Questa mancanza di chiarezza e di decisione si ravvisa non solo sulle iniziative programmatiche riguardo al futuro, ma addirittura su quanto è già in essere oggi. Procediamo con qualche esempio.
Le farmacie comunali italiane sono state le prime in Italia ad importare da altre esperienze europee di successo il concetto di aderenza farmacologica alla terapia. Non vantiamo alcuna paternità nazionale sulla cosa, ma guardiamo con soddisfazione al fatto che oggi è un argomento ampiamente condiviso da altri. Ma quale aderenza alla terapia può esservi se il farmacista territoriale non è coinvolto nel processo assistenziale al paziente, come lo sono altri professionisti sanitari non ospedalieri?
E quale aderenza alla terapia può offrire il farmacista territoriale se nella realtà non può dispensare alcuni farmaci assolutamente importanti per alcune fasce di popolazione ad alto consumo di medicinali?
La distribuzione diretta di farmaci ad alto costo operata dalle farmacie ospedaliere non depaupera solo la farmacia territoriale di importanti fonti d’entrata economica (senza peraltro che sia dimostrato come la prima opzione costituisca un reale risparmio per il SSN), ma di fatto impedisce al farmacista privato e comunale di creare sinergie terapeutiche con il medico curante.
Siamo stati tra i primi a dichiarare che oggi le farmacie territoriali necessitano di un aggiornamento professionale per fare tutto ciò, ma siamo anche stati i primi ad immaginare percorsi formativi che mettano i nostri farmacisti nelle condizioni di dispensare farmaci innovativi oggi non presenti nei nostri circuiti.
Ampliare quanto più possibile i confini della distribuzione in nome e per conto significa quindi concedere alle farmacie territoriali non solo nuove e vitali marginalità, ma anche offrire un servizio dispensativo più capillare, competente e geograficamente prossimo alla quotidianità di pazienti sottoposti a terapie complesse e impattanti.
Senza un rilancio normativo della distribuzione in nome e per conto, il mito dell’aderenza terapeutica diventa quindi un falso mito.
Altro falso mito è quello della cosiddetta presa in carico del paziente. Tema che oggi, con le normative vigenti, non è semplicemente possibile per il farmacista.
Di fatto, la definizione di equipe specializzate che seguono l’assistenza domiciliare dei pazienti non comprende il farmacista anche quando la quasi totalità di determinate tera- pie contempla la dispensazione di farmaci.
Una situazione, questa, che si presenta anche in contesti regionali in cui la legislazione in merito è tra le più avanzate. È il caso ad esempio della Regione Emilia Romagna, che ha previsto una tassa di scopo per la presa in carico integrata ma non menziona la necessità del farmacista.
Anche in questo caso, il mito dell’integrazione del farmacista con gli altri professionisti della salute, senza un’adeguata cornice legislativa, è solo un falso mito.
Stesso dicasi per le Case della Salute, tema sul quale si era accennato ad una relazio- ne tra questo nuovo soggetto e la farmacia territoriale, senza che poi vi sia stato alcun seguito.
Il mito della farmacia come principale presidio sanitario così vicino alla quotidianità del cittadino rischia di essere uno dei tanti falsi miti del futuro sanitario del nostro paese. Sappiamo bene che molti sostengono il fatto che azioni come la pharmaceutical care e ogni altra strategia volta a de-ospedalizzare il paziente potranno certamente ridurre il numero di ricoveri, ma non necessariamente la spesa sanitaria. Il fatto è che buona parte di quest’ultima è determinata da costi fissi quali i salari del personale, ovviamente indipendenti dal volume di ricoveri.
Questo è vero, perlomeno in parte, ma una riduzione dei carichi di lavoro del personale ospedaliero migliorerebbe la qualità del servizio offerto ai pazienti inevitabilmente biso- gnosi di ricovero.
Una recente ricerca dell’Anaao ha rivelato che ogni medico ospedaliero ha in carico in media cinquanta pazienti al giorno, in una settimana lavorativa di cinquanta ore circa. Una tale mole di lavoro di quanto innalza i rischi di errore e disattenzione? Quali livelli di demotivazione e disaffezione al lavoro crea nei nostri medici?
Quando, come è contenuto nel recente rapporto Osservasalute, per la prima volta nella storia d’Italia l’aspettativa di vita degli italiani è in calo, non possiamo fingere che tutto stia andando bene.
Se non si compiono i passi legislativi necessari per trasformare queste buone intenzioni da falsi miti a piani sanitari realmente operativi, il destino della farmacia italiana non può che essere uno.
Per rimanere in vita, per far quadrare i bilanci, la farmacia dovrà per forza lasciarsi andare a quella deriva commerciale che oggi è già dietro l’angolo. Non potendo essere un soggetto sanitario pubblico pienamente riconosciuto e valorizzato dallo Stato, alla farmacia territoriale non rimarrà altro che diventare nulla più che un negozio salutistico, dove i farmaci e la professionalità sanitaria necessaria alla loro dispensazione si perderanno sempre più tra mille prodotti e servizi non farmaceutici.
La scomparsa della farmacia non estinguerà però i rischi e i costi relativi ad un utilizzo errato dei farmaci.

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Francesco Schito
Segretario Generale di Assofarm

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