È stato pubblicato dall’Agenzia Italiana del Farmaco il Rapporto Nazionale per l’anno 2017 sull’uso di antibiotici in Italia. Il documento ricorda dapprima che «l’antibiotico-resistenza rappresenta un problema di salute pubblica molto rilevante a livello globale per via dell’elevato impatto epidemiologico sulla popolazione (incremento della morbosità e della mortalità) e dei pesanti oneri sociali ed economici correlati (perdite di vita e di giornate lavorative, prolungamento delle degenze e maggior utilizzo di procedure diagnostiche)». In questo senso, «secondo una recente analisi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in molte parti del mondo sono state registrate prevalenze elevate di resistenza nei batteri che causano infezioni anche comuni, quali la polmonite e le infezioni delle vie urinarie. Uno studio recente dell’European Centre for Disease Prevention and Control riporta che nel 2015, nei Paesi dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo, si sono verificati 671.689 casi di infezioni antibiotico-resistenti, a cui sono attribuibili 33.110 decessi, un terzo dei quali si è verificato in Italia, evidenziando la gravità del problema nel nostro Paese». Inoltre, «il 75% dei casi è dovuto a infezioni correlate all’assistenza sanitaria, e ciò a sostegno della necessità di intervenire con azioni di contrasto soprattutto negli ambienti di cura».
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Per quanto riguarda il consumo di farmaci antibiotici nel nostro Paese, l’Aifa spiega che esso, nel 2017, «è risultato pari a 25,5 DDD/1000 abitanti die. Oltre l’85% delle dosi, pari a 21,8 DDD/1000 abitanti die, è stato erogato a carico del Servizio Sanitario Nazionale, con una riduzione dell’1,6% rispetto al 2016. Questo dato comprende sia gli antibiotici erogati in regime di assistenza convenzionata (dalle farmacie pubbliche e private) sia quelli acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche. Anche la spesa pro capite nazionale (14,33 euro) si è ridotta rispetto all’anno precedente dell’1,7%. Il 90% del consumo di antibiotici a carico del SSN (19,7 DDD/1000 ab die) è in regime di assistenza convenzionata, confermando che gran parte dell’utilizzo degli antibiotici avviene a seguito della prescrizione del medico di medicina generale o del pediatra». In termini geografici, l’analisi indica «un maggior consumo al Sud e nelle Isole (24,9 DDD/1000 ab die) e al Centro (20,7 DDD/1000 ab die), rispetto al Nord (15,6 DDD/1000 ab die). Si evidenzia, comunque, una progressiva tendenza a un uso più attento di tali medicinali con particolari riduzioni dei consumi proprio nelle aree di maggior utilizzo. Le Regioni Campania e Puglia mostrano le contrazioni più importanti dei consumi (rispettivamente -5,5% e -6,8%) e un consistente calo della spesa (rispettivamente -5,1% e -8,5%). Su base nazionale, l’analisi del profilo di utilizzo del farmaco per fascia d’età e genere conferma un maggior consumo di antibiotici nelle fasce di età estreme, con un livello più elevato nei primi quattro anni di vita (prevalenza d’uso 58,2% nei maschi e 55,3% nelle femmine) e dopo i 75 anni (prevalenza d’uso 50,6% negli uomini e 50,8% nelle donne)».
L’agenzia sottolinea poi una «differenziazione tra gli antibiotici erogati in regime di assistenza convenzionata e quelli acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche. Nell’ambito dell’assistenza convenzionata, nel 2017, le penicilline in associazione agli inibitori delle beta-lattamasi rappresentano la classe di antibiotici a maggior consumo, seguita dai macrolidi e dai fluorochinoloni; sul versante degli acquisti delle strutture sanitarie pubbliche, invece, le tre classi di antibiotici più prescritte sono le penicilline associate a inibitori delle betalattamasi, i fluorochinoloni e le cefalosporine di terza generazione».
Inoltre, «dall’analisi della distribuzione del consumo di antibiotici sistemici in base alla classificazione proposta dall’OMS nella lista dei farmaci essenziali emerge che oltre il 40% delle prescrizioni non ha riguardato un antibiotico di prima scelta (comprendente 14 penicilline ad ampio spettro e derivati nitrofuranici, come la nitrofurantoina), con un gradiente crescente da Nord a Sud. L’incidenza del consumo di antibiotici di ultima istanza, da utilizzare solo nei casi più gravi (es. cefalosporine di IV generazione), è minima anche perché sono molecole di uso esclusivamente ospedaliero».
Il raffronto con gli altri Paesi Ue indica infine che «in Italia, nel 2017, il consumo territoriale, comprendente sia l’erogazione a carico del SSN che gli acquisti a carico del cittadino, si è mantenuto superiore rispetto a quello della media europea. Tuttavia, la differenza si è ridotta notevolmente nel quinquennio 2013-2017, in quanto l’Italia ha registrato in questo lasso di tempo una maggiore riduzione dei consumi territoriali. In Italia si osserva un ricorso maggiore ad alcune specifiche classi di antibiotici, quali i chinoloni e i macrolidi, e un consumo minore di tetracicline. Il consumo ospedaliero è invece allineato a quello della media europea; si registra, tuttavia, un consumo minore di penicilline e di tetracicline, mentre risulta maggiore quello di chinoloni e di sulfonamiditrimetoprim».
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