Nel corso del congresso mondiale dell’International pharmaceutical federation (Fip) si è tenuto il simposio “L’inclusività sanitaria e il ruolo della farmacia”, tema ampiamente dibattuto da diversi esperti. In proposito, la Federazione ha sottolineato che «con la convinzione che i farmacisti possano significativamente influenzare e migliorare i risultati di salute attraverso l’inclusività e l’inclusione, relatori esperti di The Economist, illustri farmacisti e accademici hanno discusso di come la farmacia possa svolgere un ruolo di primo piano nel guidare l’inclusività nell’ambito della salute». All’evento ha fatto seguito una tavola rotonda, organizzata dalla Fip, alla quale sono stati invitati esperti di tutto il mondo per approfondire le questioni sollevate durante il simposio e trovare soluzioni per aiutare i farmacisti a proseguire, con il proprio lavoro, a migliorare i risultati di salute dei pazienti attraverso l’inclusività. Quanto emerso da questi incontri è stato raccolto nel report “Health inclusivity, agency and empowerment: developing solutions to help pharmacists drive better health outcomes”.
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L’indice di inclusività sanitaria
Gli esperti coinvolti dalla Fip hanno definito l’inclusività sanitaria «il processo di rimozione delle barriere personali, sociali, culturali e politiche che ostacolano gli individui e le comunità a sperimentare una buona salute fisica e mentale e una vita pienamente realizzata». Per valutare il livello di inclusività di un paese e di un sistema sanitario, The Economist, in collaborazione con Haleon, ha formulato un indice basato su tre parametri: “la salute nella società” (strategie e politiche messe in atto per affrontare le disuguaglianze), “sistemi sanitari inclusivi” (strutture e sistemi infrastrutturali adottati per garantire una copertura sanitaria universale), “empowerment delle persone e della comunità” (sforzi per rendere individui e comunità attori della propria salute). Quest’ultimo parametro prende in considerazione, per esempio, la disponibilità di servizi di traduzione e il livello di supporto tra pari nell’assistenza sanitaria. Questo perché più è elevato il grado di autonomia e controllo che i pazienti hanno sulla propria salute più saranno in grado di prendere decisioni informate.
Implementare la propensione al self-care
Il report esamina l’impatto positivo, nel favorire l’inclusività sanitaria, del self-care, inteso sia come automedicazione sia come cura di sé a trecentosessanta gradi. «La cura di sé – scrivono gli autori – consente ai pazienti di prendere migliori decisioni sulla propria salute e di rimanere informati sui migliori programmi e metodi per uno stile di vita più sano. Sono stati identificati vari fattori che potrebbero implementare il self-care, in particolare in farmacia. Tuttavia, un concetto importante è stato evidenziato: nonostante l’apparente semplicità di questi fattori, la cura di sé non è una soluzione standardizzata che può essere applicata in tutte le situazioni. Ci sono infatti differenze che devono essere considerate, quali l’alfabetizzazione sanitaria, la fiducia nei professionisti della farmacia e la consapevolezza da parte degli operatori sanitari del proprio ruolo». Per superare queste barriere gli esperti raccomandano ai farmacisti di mantenere un dialogo aperto e costante con i pazienti, diffondere cultura su temi relativi alla salute anche attraverso gli strumenti digitali, valutare il livello di alfabetizzazione sanitaria della propria comunità. Alle istituzioni e autorità sanitarie è invece raccomandato offrire ai farmacisti un’adeguata formazione su questi temi. Si rimanda alla lettura integrale nella sezione “Documenti allegati”.
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