Si chiama “Comitato Titolari per la Riforma di Enpaf” e ha già più di cinquanta di iscritti, la pagina Facebook creata per aggregare consensi con il fine di avviare un percorso volto ad una riforma dell’Enpaf. Il comitato, che si aggiunge agli altri vari gruppi nati in passato, questi ultimi costituiti per lo più da non titolari di farmacia, si presenta con una prima proposta di riforma dell’ente previdenziale dei farmacisti. In particolare, si legge nel manifesto pubblicato e sottoscritto da quindici farmacisti titolari di farmacia, «poiché anche gli accantonamenti proseguono anno dopo anno al fine di raggiungere le annualità obbligatorie, è giunto il momento di rivedere punti divenuti essenziali per tutti gli iscritti: pensionati, collaboratori dipendenti e titolari di farmacia, proponendo, per una prima approvazione propositiva, tramite i presidenti degli Ordini provinciali, all’Assemblea annuale dell’Enpaf, quindi, ai Ministeri competenti, i punti essenziali, e ormai improcrastinabili per moltissimi iscritti, di modifica del regolamento dell’Enpaf, ovviamente riparametrando le contribuzioni su una base differente dall’attuale».
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Sono sette in particolare le proposte presentate, ovvero che «l’iscrizione all’Enpaf sia obbligatoria solamente per i farmacisti lavoratori autonomi titolari di partita IVA», che l’iscrizione all’Enpaf possa essere facoltativa e complementare per i farmacisti dipendenti pubblici e privati che abbiano altra forma di previdenza ed assistenza obbligatoria», che la «contribuzione in percentuale sul reddito professionale oltre quota fissa minima», ma anche una «esenzione totale dal pagamento dei contributi per i pensionati che continuano a restare iscritti all’Albo, ma con obbligo di partecipare alle quote per l’assistenza e a un contributo fisso di solidarietà da determinarsi». Inoltre, «lo 0,90% derivante dal valore delle prescrizioni spedite in regime di Ssn diventi, in modo prioritario, contribuzione ai fini pensionistici per ciascun titolare, compresi i singoli soci farmacisti delle società proprietarie di farmacie, anche questo decurtato della stessa quota di solidarietà dei pensionati», «nel caso di società di capitale o individuali, lo 0,90% del fatturato al netto dell’IVA, dei ticket, degli sconti e delle quote di previdenza e sindacali, sia suddiviso per quota uguale fra tutti i soci farmacisti», ed infine, favorire «una pensione minima onorevole adeguata alla professione». Tutto ciò – spiegano i promotori dell’iniziativa «lasciando invariato il pareggio di bilancio annuale dell’ente».
La formazione di un comitato appositamente creato per la riforma dell’ente previdenziale dei farmacisti, di certo non è la prima ne l’ultima iniziativa in tal senso. Una, tra quelle con il maggior risalto mediatico, fu quella dello scorso maggio 2018, in cui Fofi, Fenagifar e Federfarma – con il sostegno di Assofarm -, proposero una serie di modifiche al regolamento, con la finalità di avviare una «revisione complessiva e strutturale delle disposizioni che regolano la previdenza dei farmacisti». All’epoca dei fatti, l’iniziativa scaturì una serie di critiche, tra cui quella di Pasquale Imperatore, presidente dell’Ordine dei farmacisti di Matera, nonché membro del consiglio di amministrazione dello stesso ente previdenziale, il quale definì le proposte come «una non riforma», ma anche di varie associazioni anche di varie associazioni, tra cui Conasfa, Sinasfa, Fnpi, e Lpi.
Lo stesso Emilio Croce, presidente dell’Enpaf, intervenne sostenendo il «confronto collegiale» come «via maestra». Il dirigente aveva sottolineato in particolare che «se l’obiettivo è quello di riformare la previdenza di categoria, come sostengono tutte le componenti della professione, allora bisognerebbe adottare comportamenti conseguenti e responsabili, senza scatti in avanti o scarti di lato».
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