resistenza agli antibioticiNel corso della seduta del 26 ottobre 2016, un’interrogazione – primo firmatario il senatore Andrea Mandelli, presidente della Fofi – è stata depositata al Senato. Oggetto dell’atto il fenomeno delle resistenze batteriche agli antibiotici, che come sottolineato in un altro documento depositato il 17 febbraio «risulta in costante aumento». La risposta fornita dal sottosegretario di Stato per la Salute, De Filippo, in data 27 luglio 2016, secondo i proponenti non è stata soddisfacente. I senatori ricordano che «l’Italia è uno dei Paesi europei che usa più antibiotici, anche per curare malattie per le quali non sono necessari. Una delle conseguenze di questo abuso di medicinali è che la presenza percentuale di batteri resistenti agli antibiotici è in crescita». Al contempo «da un certo numero di anni si assiste al contrarsi della ricerca nel campo da parte dell’industria farmaceutica: i nuovi antibiotici sono stati 16 nel quinquennio 1983-1987, quindi 10 nello stesso periodo degli anni ’90 e 5 tra il 2003 e il 2007. Nel 1990 erano 18 le grandi case farmaceutiche impegnate nella ricerca in questo settore, nel 2010 soltanto 4».
«Sebbene la contemporanea resistenza (co-resistenza) agli antimicrobici di importanza critica sia relativamente poco frequente – si legge ancora nell’interrogazione -, e ciò significa che nella maggior parte dei casi esistono le possibilità di cura per le infezioni gravi, il fatto che la resistenza agli antimicrobici sia rilevata comunemente desta allarme. Infatti, quando i batteri diventano clinicamente resistenti a più antimicrobici (multiresistenza), il trattamento delle infezioni da loro provocate risulta molto più complesso, se non impossibile, e comunque oneroso: è il caso, per esempio, della tubercolosi, le cui forme multiresistenti sono sempre più diffuse». Nell’atto vengono poi ricordati gli interventi della Commissione europea nel 2001, la legislazione Ue sull’alimentazione animale del 2006 che ha vietato l’uso degli antibiotici nei mangimi, come promotori di crescita. Ma anche i pareri dell’Efsa, un documento del Consiglio dell’Ue e un altro dello European observatory on health systems and policies. L’Oms, inoltre, ha richiamato i singoli Paesi «perché affrontino con urgenza il problema», mentre all’ultimo World Economic Forum di Davos, «si è chiesto alle aziende farmaceutiche di investire nella ricerca nel campo della biologia strutturale, della biochimica e della biologia molecolare, per l’individuazione e lo sviluppo di ulteriori nuove molecole». Per tutto ciò si è chiesto al governo di «allocare maggiori risorse finanziarie alle strutture pubbliche di ricerca e ai concorsi pubblici, finalizzati allo studio di nuove molecole ad attività antibatterica»; di potenziare «azioni volte a proteggere il consumatore dai rischi derivanti dall’utilizzo degli antibiotici nella filiera alimentare»; di «promuovere le buone pratiche per il controllo delle infezioni ospedaliere», nonché «la ricerca nel settore dei test rapidi che permettano di individuare la natura e l’origine delle infezioni» e «iniziative, anche attraverso il contributo dei medici e degli operatori sanitari, volte a responsabilizzare il cittadino sull’uso degli antibiotici».

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