Logiche di mercato contro salute. Da un lato Big Pharma e Nestlé, dall’altro i bambini che muoiono di latte in polvere.
È questa la lotta proiettata sul grande schermo da Danis Tanovic con la nuova pellicola intitolata “Tigers”. Nel mirino le multinazionali e gli effetti drammatici che può avere il food destinato ai più piccoli, soprattutto se unito ad acqua non potabile.
Vincitore di un Oscar nel 2002 con “No Man’s Land”, premiato come miglior film straniero, il regista torna alla ribalta con un thriller etico ispirato a fatti di cronaca realmente accaduti. È la storia dei rappresentanti della multinazionale Lasta, chiamati “Tigers” dai superiori per incentivarli a promuovere il latte artificiale con metodi feroci.
Finzione e realtà si intrecciano. Ayan, questo il nome del protagonista, riporta all’attenzione di tutti la vicenda di un giovane pakistano, Syed Aamir Raza. Proprio lui, uno dei “Tigers” della Nestlé –agli inizi degli anni ’90 trova lavoro nel suo paese presso una filiale dell’azienda -, si rende conto degli effetti negativi che può avere l’abbandono del latte materno in favore di quello artificiale. La morte di qualche bambino per infezioni o per denutrizione, lo convince a dare battaglia alla multinazionale. Forse troppo per un uomo solo. Così, la storia si è conclusa all’inizio del decennio scorso con una fuga in Canada e una nuova vita da tassista.
La vicenda, però, non è stata dimenticata da Tanovic che, con non poche difficoltà, è riuscito a produrre questo nuovo film. Apprezzato ai festival di Toronto, di Dubai e San Sebastian, il film è sbarcato anche in Italia il 7 marzo quando, a Firenze, è stato presentato in anteprima al cinema Odeon.
È stato così mostrato al pubblico un lavoro lungo otto anni. Questo il tempo impiegato dal regista per produrre il film. A rallentare di molto i lavori sono stati i dietrofront di alcuni finanziatori intimoriti da una trama che sarebbe potuta essere una prevedibile porta d’accesso ai tribunali. La ricerca di partner ha avuto come approdo il sì di Guneet Monga, una produttrice cinematografica indiana, che ha quindi reso possibile la realizzazione del film.
Ne è nata così una produzione che ha parlato più lingue e che si è voluta porre subito come uno spunto di riflessione.
Una riflessione sul destino di tante piccole vittime che restano impantanate in un mercato dominato da profitto e speculazione. La critica ne parla bene. I distributori, per ora, nicchiano. Il cinema italiano aspetta di conoscere i “Tigers”.
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