presa in carico del pazienteNuova remunerazione, Pharmaceutical Care, Farmacia dei Servizi ed ora Presa in carico del paziente. Secondo Venanzio Gizzi, presidente di Assofarm, potremmo concorrere a breve alla creazione di un altro mito. Una moda del momento. Qualcosa che viene usato in via temporanea per poter definire un’intenzione comune, ma che tuttavia può scomparire lasciando il posto a qualcosa di nuovo.

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In un editoriale pubblicato sulla newsletter della Federazione Gizzi spiega come, «ora che la Presa in Carico del Paziente è pienamente entrata nel dibattito farmaceutico, essa corre i rischi peggiori». Proprio come accaduto in passato per altri temi, Gizzi sottolinea che «il nostro mondo ha un modo tutto suo per annichilire le buone idee: nel momento in cui indifferenza e diffidenza non riescono più a contrastare la loro avanzata, tutti iniziano improvvisamente a parlarne, a farle proprie, ad organizzare convegni e diffondere comunicati ricchi di punti di vista al riguardo». Trasformando tutto in «un’immensa chiacchierata collettiva che ha l’effetto di trasformare l’idea in un qualcosa di mitico che si estende oltre l’orizzonte. Un luogo e un tempo irraggiungibili».

Nel lungo editoriale il presidente di Assofarm mostra nella pratica come, argomenti di fondamentale importanza per lo sviluppo della professione, siano svaniti nel nulla. «È successo con la nuova remunerazione – spiega -. Quando Assofarm ne parlò per prima nel lontano 2006, venne liquidata come cosa non prioritaria, poi improvvisamente negli ultimi anni è diventata necessità nazionale senza però che, all’alba del rinnovo della Convenzione, sia stato davvero condiviso cosa si intenda con essa». Lo stesso di quanto accaduto con la Pharmaceutical Care, «altro termine importato dalla nostra Federazione dalle rappresentanze delle Farmacie sociali del Nord Europa che, come da copione, dopo aver vissuto primi difficili momenti, oggi è sulla bocca di molti senza che quasi nessuno si stia prendendo la briga di passare dalle parole ai fatti». Ed infine, con la farmacia dei servizi, ove «nel 2009 squilli di trombe condussero, addirittura, alla promulgazione di una legge, il cui futuro concreto ha più che altro chiarito quale misera concezione di servizi si intendesse riservare alla farmacia. Sta succedendo con la Presa in Carico. Puntualmente, quando il progetto Adhere doveva muovere i primi passi, sono iniziate le disquisizioni, i ripensamenti regionali su chi voleva partecipare. Tutte cose che hanno sapientemente frenato il suo primo passo bloccandolo nel limbo delle parole».

Gizzi prova a dare una spiegazione a tutto ciò, ipotizzando «una mancata coesione del settore» o «lobby che remano contro». Tuttavia «la nostra impressione però è che l’ostacolo più grande stia nella sostanziale e mai apertamente dichiarata assenza di considerazione per la farmacia da parte del decisore politico». E tira in ballo le Case della Salute e l’ADI, dalle quali la farmacia è stata letteralmente lasciata fuori la porta.
Secondo il dirigente la soluzione potrebbe essere quella di traghettare i farmacisti verso «una loro maggiore formazione sulla somministrazione di farmaci innovativi che oggi non conoscono perché spesso esclusivamente distribuiti dalle farmacie ospedaliere», pur ribadendo che «non esistono ragioni sanitarie perché non siano distribuiti dalle farmacie territoriali». Inoltre, secondo Gizzi il farmacista dovrebbe «aver accesso a strumenti tecnici relativi alle patologie affrontate dall’ADI. Ciò faciliterebbe il suo compito, a patto che egli sappia usare al meglio le informazioni contenute in questi database. Il tutto, ben inteso, nel rispetto dei ruolo dei singoli protagonisti».

Il presidente torna sul progetto Adhere, che consentirebbe al farmacista «di lavorare su questi aspetti critici, e pertanto gli offre la possibilità di dimostrare sul campo i suoi meriti. Meriti perdipiù validati da un comitato scientifico indipendente che avrà il compito di valutare, oltre all’aderenza, le effettive efficace ed efficienze di spesa dalla presa in carico». Secondo Gizzi «è necessario dunque accelerare l’avvio di Adhere che significherebbe oggi, una volta tanto, produrre fatti concreti e passare dal Mito all’attuazione. Viceversa non procedere in tale direzione significherebbe anche menomare fortemente il valore sanitario della farmacia italiana». Tale progetto potrebbe aiutare a contenere quella che egli stesso definisce “deriva commerciale”, la quale «sta smettendo di essere un rischio ed è prossima a diventare realtà».

Per tale motivo «la presa in carico del paziente cronico è un qualcosa che sta succedendo nel nostro paese. In questo percorso possono esserci stati errori da più parti, miopie e anche qualche sgambetto. La più o meno evidente esclusione della farmacia dai programmi in essere può essere il frutto di tutto ciò. Di certo però – conclude – c’è che l’unica cosa che può fare la farmacia è lottare con più forza per meritarsi maggiore considerazione».

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