farmacia-trasferirePerfezionate lo scorso anno tutte le revisioni straordinarie e banditi i concorsi regionali (mancano soltanto quelli provinciali di Trento e Bolzano), e nell’attesa che le “nuove farmacie” – a parte quelle che potrebbero essere stralciate a seguito di impugnative giurisdizionali andate anche temporaneamente a buon fine – siano assegnate, si stanno sorprendentemente intensificando le richieste di titolari di farmacia dirette a trasferire l’esercizio proprio in una delle sedi neoistituite, con preferenza evidentemente per quelle ritenute più appetibili.
Il ragionamento di costoro è in sostanza il seguente: si tratta di sedi ancora prive di un titolare, in cui – previa autorizzazione comunale – potrebbe anche essere consentito, o quantomeno non impedito dal sistema, spostare la propria farmacia e rendere così disponibile per l’esercizio privato la relativa circoscrizione, la quale quindi a sua volta assumerebbe funambolicamente nel concorso il luogo dell’altra, perché in fondo anche lo “scambio” di una sede vecchia con una sede nuova potrebbe rivelarsi una delle possibili modalità di “decentramento”.
Il solo “decentramento” che però l’assetto normativo conosce – per di più introdotto soltanto dall’art. 5 della l. 362/91 (nelle due fattispecie, “d’ufficio” e “a domanda”, ivi tipicamente contemplate) – non configura uno spostamento della farmacia dalla sede di riferimento in una sede diversa (di nuova istituzione o vacante che sia), ma il trasferimento da una zona all’altra del territorio comunale della sede in quanto tale, che viene pertanto (anche nella “pianta organica”) espunta dalla prima e riconfigurata nella seconda, pur se fatalmente seguirà anche lo spostamento del relativo esercizio nella nuova circoscrizione assegnatagli.
In principio, dunque, non è un “decentramento” della farmacia, ma della sede.
Almeno nel sistema attualmente vigente, non c’è allora nessuna possibilità – ancor meno sul piano formale – di confondere le due vicende sussumendo l’una nell’altra o contrabbandando l’una per l’altra. Né viceversa.
Se però è ovviamente tuttora in piedi il trasferimento della farmacia nella sede (ma in Campania fino a 400 m. “oltre confine”…), all’interno cioè della porzione territoriale di pertinenza, che è una misura disciplinata per la prima volta dal secondo comma dell’art. 109 del TU.San. 1934 e dall’art. 28 del Reg. farmaceutico del 1938, e parimenti è tuttora in piedi – come si è appena ricordato – anche quello della sede, è invece ormai da tempo venuto meno il trasferimento della farmacia dalla sede, proprio quel che vorrebbero oggi invocare i fautori dello “scambio”.
Non soltanto, infatti, l’art. 22 della l. 2/4/68 n. 475 provvide ad abrogare espressamente il terzo e quarto comma dello stesso art. 109, che regolavano esattamente questo rimedio (circoscrivendolo peraltro al caso di una sede promiscua – quella in cui erano previsti nella p.o. più esercizi – nella quale le farmacie in attività risultassero “inferiori di numero a quelle assegnate nella pianta organica”), ma il trasferimento dalla sede si poneva anche, già da allora, in termini di sicura incompatibilità con il sistema creato dalla l. 475/68, e nei giorni nostri fermamente ribadito anche dall’art. 11 del dl. Cresci Italia, secondo cui le sedi di nuova istituzione e le sedi vacanti, al netto dell’eventuale esercizio del diritto di prelazione da parte dei Comuni, possono essere conferite soltanto mediante pubblico concorso.
Ricordiamo inoltre, senza volerci attardare su una vicenda appartenente ormai alla storia del diritto delle farmacie, che le disposizioni regolamentari di attuazione dell’art. 109 – cioè gli artt. 23-26 del citato Reg. del 1938 – sconfinarono in parte dal loro ruolo, ponendosi così in una luce sospetta di illegittimità, e in particolare (art. 23) estesero il trasferimento dalla sede anche all’ipotesi di semplice vacanza di una circoscrizione, ma escludendone l’applicabilità, per quel che possa qui interessarci, alle farmacie di nuova istituzione che perciò anche allora erano riservate in ogni caso all’assegnazione concorsuale.
Chi insomma aspirasse a spostare l’esercizio in altra zona del territorio – e salvo che, come si è ricordato più volte, non vengano soppressi sia il trasferimento della farmacia nella sede che quello della sede, dando pertanto via libera alla trasferibilità delle farmacie sull’intero territorio – dovrà battere inevitabilmente la diversa strada del “decentramento” ex art. 5, l. 362/91, chiedendo alla Regione ma anche al Comune (che, se la Corte Costituzionale non farà saltare il tavolo delle attribuzioni delineato dall’art. 11, pensiamo debba ritenersi l’amministrazione competente per le ragioni già illustrate: v. Sediva news del 31/10/2012: “Il punto sulla Riforma Monti del servizio farmaceutico”) di disegnare nuove circoscrizioni, evidentemente diverse da quelle istituite con le revisioni straordinarie, da poter “occupare” trasferendovi la sede di propria pertinenza.
Un’operazione del genere potrebbe d’altra parte presentarsi meno impervia e complicata di quel che forse può sembrare, specie nei casi in cui dalla revisione ordinaria al 31/12/2012 (non importa se tardiva) siano emerse o emergessero in tempi ragionevoli farmacie in soprannumero per effetto di dati demografici al 31/12/2011 risultati inferiori a quelli al 31/12/2010 utilizzati per le revisioni straordinarie.
L’esempio più clamoroso in tal senso è proprio quello accennato nel titolo del comune di Roma.
La popolazione capitolina residente al 31/12/2010 era di 2.761.477 abitanti, che ha comportato l’istituzione in fase di revisione straordinaria di 119 “nuove farmacie”, elevando il numero degli esercizi della capitale nella p.o. da 718 a 837; ma al 31/12/2011 – dopo che il censimento dell’ottobre di quell’anno aveva fatto piazza pulita (a Roma come anche in altri comuni) dei tanti residenti soltanto “sulla carta” – gli abitanti romani sono “scesi” a 2.614.263, e questo, riducendo da 837 a 792 il numero complessivo delle farmacie corrispondenti al nuovo rapporto limite 1:3300, sembra imporre oggi al Comune, cioè a Roma Capitale, di sopprimere dalla p.o. i 45 esercizi “soprannumerari”.
Prendiamo del resto l’esempio di Genova: nonostante la riduzione del quorum, il numero delle sedi nella p.o., tutte di vecchia istituzione, è risultato eccedere ancora di 35 unità quelle “numerarie” e, di queste, quattro non erano attive ma vacanti e come tali incluse anch’esse, nel rispetto dell’art. 11, nel concorso straordinario ligure.
Alcuni titolari di farmacia genovesi (senza essersi preoccupati in precedenza di provocare dal Comune un provvedimento di revisione “in riduzione” delle sedi in p.o., con la soppressione delle quattro vacanti) impugnavano direttamente il bando di concorso, ottenendo dal Tar (sent. n. 896 del 10/06/13) una pronuncia di annullamento parziale con la conseguente esclusione e stralcio dal concorso delle quattro sedi, una decisione alla quale, se non appellata al CdS, dovrà seguire come atto dovuto la loro soppressione anche dalla pianta organica.
“La nuova disciplina introdotta con il più volte citato art. 11 del d.l. n. 1/2012 – premettono correttamente i giudici liguri – non ha inteso realizzare una completa liberalizzazione del settore farmaceutico, ma solo introdurre nuovi parametri numerici inerenti il rapporto farmacie/abitanti in funzione del potenziamento del servizio medesimo, da assicurare in modo più capillare sul territorio”.
Perciò, prosegue la sentenza in termini condivisibili, “i nuovi parametri numerici hanno un valore assoluto che opera anche verso l’alto, conseguentemente condizionando l’apertura delle stesse farmacie già previste dalla pianta organica, poiché l’eccessiva proliferazione degli esercizi farmaceutici, oltre la dimensione definita come ottimale dal legislatore, si tradurrebbe comunque in una compromissione delle esigenze e degli interessi presidiati dalla disciplina di settore”.
Considerato inoltre che il nuovo testo del comma 2 dell’art. 1 della l. 475/68 stabilisce “che vi sia una farmacia ogni 3.300 abitanti” e il nuovo testo del comma 1 dell’art. 2 della stessa legge aggiunge che “ogni comune deve avere un numero di farmacie in rapporto a quanto disposto dall’articolo 1”, sarebbe “palesemente contraddittorio – conclude il Tar – prevedere che l’apertura di nuove farmacie sia subordinata al rispetto di rigorosi parametri numerici e, al contempo, imporre che il concorso straordinario per l’assegnazione delle sedi vacanti includa anche le sedi che non rispettano tale parametro”.
Ci siamo soffermati qualche istante sulla questione genovese perché questa sentenza del Tar ligure, che non ricordiamo abbia precedenti in terminis, può indicare un percorso che, se non sarà sconfessato dal CdS, avrà forse qualche seguito nell’operato delle amministrazioni comunali e regionali che abbiano a imbattersi in fattispecie del genere, che d’altra parte potrebbero essere abbastanza numerose.
Tornando al caso di Roma, il Tar Lazio ha in questi giorni pubblicato tre sue decisioni (n. 6603 e 6615 del 04/07/13 e n. 6697 dell’08/07/13) sulla revisione straordinaria della p.o. capitolina: la prima e la terza respingono il ricorso nel merito, la seconda lo accoglie, con l’annullamento dell’intero provvedimento, assumendo la competenza consiliare, in luogo di quella della Giunta.
Il tonfo è fragoroso, secondo del resto la corposità del provvedimento, e aggroviglia ulteriormente la vicenda perché dà a Roma Capitale – ma evidentemente anche alle Asl e all’Ordine dei Farmacisti chiamati ad intervenire sul piano consultivo – ancor più grattacapi di quanti di per sé già derivassero dall’imponente decremento demografico di cui si è dato conto.
Il Consiglio, infatti, chiamato ora dai giudici laziali alla (ri)adozione del provvedimento di revisione straordinaria, probabilmente agirebbe anch’esso, con bieco formalismo, sulla base dei dati Istat al 31/12/2010, (re)istituendo pertanto le 119 “nuove farmacie”; ma subito dopo o addirittura contestualmente (essendo ampiamente decorso il termine legale del 31/12/2012) dovrebbe provvedere anche a quella ordinaria, “riassorbendovi” quindi le 45 sedi eccedenti.
Se poi il Consiglio di Stato, su impugnativa della sentenza, ne disponesse la sospensione dell’efficacia, sarebbe certamente la Giunta a dover procedere in fase di revisione ordinaria alla loro soppressione.
In ambedue tali eventualità (Consiglio o Giunta), perciò, la soluzione ultima del pasticciaccio – se c’è ancora un po’ di buon senso da qualche parte – dovrebbe tradursi in una p.o. romana composta di sole 792 farmacie, sia pure a seguito di un iter opposto a quello genovese (prima l’eliminazione dalla p.o. delle sedi soprannumerarie, e poi il loro stralcio dal concorso).
È vero che i tempi di espletamento almeno della procedura concorsuale laziale non sembrano brevi, ma il Comune deve agire in fretta perché anche le sedi risultanti in soprannumero, una volta conferite ai vincitori, si sottrarrebbero a qualsiasi provvedimento di soppressione o abrogazione o riassorbimento; è uno scenario che però le regole di buona amministrazione impongono di scongiurare avviando rapidamente la revisione ordinaria, che d’altronde chi ha un interesse protetto dalla legge – come in astratto tutti i titolari di farmacie previste nella p.o. di Roma – può provare comunque ad accelerare se del caso anche giudizialmente.
Ma se risultassero “intervenuti mutamenti nella distribuzione della popolazione del comune”, cioè quei fenomeni migratori che postula il primo comma dell’art. 5 della l. 362/91 (peraltro piuttosto frequenti nelle grandi città), e magari pervenissero al Comune istanze di “decentramento” di titolari di farmacia, il Consiglio (e/o la Giunta) – tenuto anche conto che tra le finalità primarie indicate dall’art. 11 c’è quella di “una piu’ capillare presenza sul territorio del servizio farmaceutico” che possa garantirne una maggiore accessibilità, finalità che si perseguono naturalmente anche con gli spostamenti delle farmacie sul territorio – potrebbe agevolmente “convertire” alcune di quelle 45 sedi, soppresse come “farmacie nuove” e quindi come circoscrizioni “numerarie”, in sedi costituite appunto per “decentramento” (senza perciò incrementare neppure di un’unità il numero complessivo degli esercizi sul territorio), da assegnare conseguentemente all’esito di un concorso “interno” tra le farmacie che vi abbiano interesse.
Il problema può essere magari quello dell’individuazione delle 45 sedi (tra le 119 di nuova istituzione) da “riassorbire”, ma sarà il procedimento di revisione (verosimilmente di quella ordinaria) a identificarle e tuttavia si tratterà in ogni caso di altrettanti “bacini d’utenza” già ritenuti bisognosi di una migliore assistenza farmaceutica; il grosso del lavoro, cioè, è stato già fatto e non c’è ragione per vanificarlo.
Se dunque trasferire la farmacia in una sede neoistituita “libera” il sistema non lo permette, si può almeno aprire quest’altra via per venire incontro alle istanze di chi, per le ragioni più varie, si trovi nelle condizioni di dover ricercare una nuova ubicazione dell’esercizio che possa migliorarne la gestione e consentire il raggiungimento di risultati più soddisfacenti.
Non sarebbero forse tutte sedi particolarmente allettanti, ma il titolare della farmacia “decentranda” potrebbe pur sempre rifiutare il trasferimento.
Da ultimo, ancora qualche notazione sulla citata pronuncia del Tar Lazio n. 6615 del 04/07/13, la quale ha il pregio di spingere la verifica dell’art. 11 ancora più in là del CdS (sent. 2990/2013, v. Sediva news del 24-25/06/2013: “L’analisi della Riforma Monti: “avanti tutta” dal Consiglio di Stato”), perché, pur riprendendo generalmente le tesi di fondo del Supremo Consesso, il Tar non vi si appiattisce se non per qualche ineludibile passaggio, ma tenta invece con discreto successo di svilupparle ulteriormente offrendo spunti meritevoli di considerazione.
L’estensore dedica uno spazio amplissimo – cadendo in qualche inevitabile ripetizione e sovrapposizione – ai due aspetti centrali, quello della costituzionalità dell’art. 11 sotto i vari profili riconducibili alla vicenda che ben conosciamo (l’attribuzione ai Comuni del potere di individuazione e di collocazione sul territorio delle “nuove farmacie” configurerebbe un’ipotesi di conflitto di interessi per la loro posizione imprenditoriale quali titolari di farmacie) e quello dell’organo comunale competente all’adozione dei provvedimenti di revisione, straordinaria e ordinaria.
La questione di illegittimità costituzionale è dichiarata “manifestamente infondata e, ancor prima, di dubbia rilevanza”; è un giudizio conclusivo che non può certo sorprendere e anzi per quanto ci riguarda era pienamente atteso, perché il Tar Lazio vi era già pervenuto in precedenza ripetutamente (ad esempio, sent. n. 3828 del 16/04/13) e la sopraggiunta ordinanza dei giudici veneti l’ha soltanto indotto (o costretto) ad altri approfondimenti, ma tutti nella stessa direzione.
Non può però convincere del tutto il Tar quando ritiene non rilevante la questione “in ragione del previsto divieto di prelazione sulle farmacie di nuova istituzione da parte dei Comuni”; se infatti ha qualche fondamento l’assunto del Consiglio di Stato sulla non rilevanza quando nella fattispecie concreta all’esame del giudice il Comune non risulti titolare di alcun esercizio, non altrettanto forse può dirsi nel caso deciso dal Tar, perché la sola attualità della posizione imprenditoriale, perciò l’attuale titolarità di farmacie, pare perfettamente in grado – di per sé – di inquinare grandiosamente le scelte riguardanti la collocazione territoriale dei nuovi esercizi (abbiamo sotto gli occhi molte “piante organiche” straordinarie e ben poche, per non dire nessuna, paiono in realtà “indifferenti” – nell’ubicazione e nella configurazione delle sedi di nuova istituzione – alla collocazione e configurazione di quelle di cui è titolare il Comune…).
E inoltre può sembrare per qualche verso contraddittorio, da un lato, affermare che “l’attività di pianificazione… non determina alcuna incompatibilità con la titolarità dei comuni di sedi farmaceutiche poiché i poteri del comune sono circoscritti entro limiti ben precisi della legge”, e poi, dall’altro, ritenere competente il Consiglio, invece della Giunta, “essendo la localizzazione delle sedi farmaceutiche, e quindi la distribuzione sul territorio comunale del relativo servizio, espressione di discrezionalità amministrativa”.
Anche noi comunque propendiamo a credere che questo conflitto di interessi, anche quando sia attuale, debba piuttosto “trovare soluzione e corretta composizione in sede di concreto esercizio delle potestà attribuite” cosicché, come abbiamo già rilevato (v. Sediva news del 29/05/2013: “Il rinvio alla Corte Costituzionale: che accade ora?”), “se c’è deviazione dallo schema legale del provvedimento, le ragioni di chi ne lamenti l’illegittimità (il classico eccesso di potere per sviamento) potranno sempre essere fatte valere dinanzi al giudice amministrativo”.
La disamina del Tar è a largo spettro anche sulla questione dell’organo comunale ed è conclusa, come si è accennato, a favore della competenza consiliare; qualche dubbio personalmente ci resta, ma ben presto il Consiglio di Stato scioglierà anche questo nodo.
Purtroppo sarà tardi, perché – quale che sia la soluzione – qualche “pianta organica” salterà e potrà essere anch’essa corposa; è almeno auspicabile che anche in altre circostanze le amministrazioni comunali possono aver agio, come si è visto per la p.o. romana, di “riadottare” il provvedimento in tempo utile per evitare sconquassi nei concorsi.
In definitiva resta però una sentenza sicuramente degna anch’essa di una lettura attenta e paziente (il suo testo, come altre volte, può essere consultato cliccando qui), quel che del resto i farmacisti non disdegnano affatto, certo consapevoli della necessità di seguire con cura l’evolversi dello scrutinio giurisprudenziale dell’art. 11 e di quel tanto ancora che può venire dopo o girargli intorno.

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(gustavo bacigalupo)

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