trasferimento farmaciaIn una recentissima circostanza (v. pillola in Piazza Pitagora n. 672) abbiamo già ricordato che quella del CdS n. 24 del 07/01/2015 è una decisione che deve amareggiare chiunque abbia minimamente a cuore la certezza del diritto in generale e una qualche stabilità del diritto delle farmacie in particolare.
Confermando invero la sentenza del Tar Lazio 14/05/2014, n. 4950 – già da par suo contraddittoria e parecchio superficiale nel decidere in pratica di… non decidere (v. pillola in Piazza Pitagora n. 664) – il Supremo Consesso con strabiliante nonchalance ha ritenuto legittimo il provvedimento con cui un comune aveva autorizzato il trasferimento farmacia nel capoluogo (dove era ubicato anche l’altra farmacia in esercizio), e sia pure nell’ambito della circoscrizione di pertinenza, di una farmacia – guarda caso partecipata proprio dal comune – istituita originariamente in soprannumero in una frazione, ma riassorbita per effetto della riduzione a 1:3300 del rapporto limite farmacie‑abitanti, con lo scenario finale tuttavia di concentrare nel capoluogo l’intera offerta di farmaci e privandone del tutto il restante territorio comunale, pur esteso e tutt’altro che disabitato.
Qui dunque la questione non si pone tanto sulla diversità – per quel che riguarda una molto presunta libera o meno libera trasferibilità all’interno della sede – tra farmacie (tuttora) soprannumerarie e farmacie (ora) numerarie, problema da noi già affrontato e su cui comunque torneremo, quanto piuttosto sull’inescusabile sciatteria con cui il CdS, appiattendosi dichiaratamente sulla sent. n. 217 del 7.3.1994, ma ignorando colpevolmente la sua stessa giurisprudenza degli anni precedenti e ancor più quella di segno esattamente contrario degli ultimi 20 anni, conclude a favore della legittimità del provvedimento autorizzativo affermando che “[…] il Comune non può opporsi alla libera scelta del farmacista, in quanto, com’è stato osservato, una siffatta facoltà costituisce l’esplicazione dei generali diritti di libertà di iniziativa economica e dell’esercizio della professione, sia pure subordinandosi il trasferimento all’autorizzazione delle competenti autorità, che non può essere negata se non per precipue ragioni ostative.”.
Le cose non stanno infatti più così, come detto, ormai da molto tempo dato che questa era stata la posizione assunta dai giudici amministrativi prima dell’entrata in vigore della l. 2.4.1968 n. 475, cioè nella… preistoria, e riaffacciatasi nella giurisprudenza solo con qualche tentativo del tutto sporadico di… ritorno al passato e ora – lo abbiamo appena visto – con questa sentenza.
Senonché, oggi una decisione del genere è, se possibile, ancor più grave, perché nel frattempo l’art. 11 del dl. Cresci Italia ha innestato nel sistema – aggiungendoli o, se si preferisce, sostituendoli alle famose “esigenze degli abitanti della zona”, indicate come interessi pubblici da salvaguardare dall’art. 1 della l. 475/68 – criteri nuovi e univoci (“una più capillare presenza sul territorio del servizio farmaceutico”, l’“equa distribuzione sul territorio”, “accessibilità del servizio farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate”) nella collocazione territoriale degli esercizi, di cui quindi l’amministrazione, accogliendo o rigettando la domanda di trasferimento, deve ora comunque tener conto e tendenzialmente anche dar conto nel provvedimento.
Invece, discostandosi persino da due suoi recentissimi precedenti perfettamente in tal senso (v. sent. n. 5840 del 25/11/2014: cfr. pillola in Piazza Pitagora n. 671 e, per la prima volta, v. sent. n. 4705 del 16/9/2014: cfr. pillola in Piazza Pitagora n. 667), di tutto questo il Consiglio di Stato si è qui allegramente disinteressato!
Un consigliere pigro, un collegio distratto, o che altro?

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Gustavo Bacigalupo

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