pianta-organicaSi stanno via via decidendo i ricorsi contro i provvedimenti comunali adottati nella sfera di applicazione dell’art. 11 del dl. Cresci Italia, e dopo quelle dei Tar si fanno sempre più numerose anche le pronunce del Consiglio di Stato, che con un peso ovviamente diverso ha ormai avviato l’attesa verifica della Riforma Monti del servizio farmaceutico.

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In fondo questo sta avvenendo in termini onesti, perché è trascorso soltanto un anno ed è pensabile che in tempi ragionevoli – e secondo la peculiarità delle varie fattispecie portate all’esame della III Sezione – lo studio in generale di tutto quel che è successo e forse anche maggiori approfondimenti di questo specifico tema possano rivelarsi abbastanza esaustivi.

Per il momento però alcuni suoi recenti provvedimenti dovrebbero aver dissipato – almeno allo stato – gran parte dei dubbi sulla sorte della sede farmaceutica (e della pianta organica) alla luce dell’art. 11, o se non altro fornito un quadro di quel che sembra il pensiero al riguardo del Supremo Consesso amministrativo.

In particolare, all’ordinanza n. 751 del 1 marzo, già di per sé significativa (ne abbiamo parlato nella Sediva news del 12/03/2013: “Il trasferimento nella sede: una misura ancora in vigore”), è seguita la sentenza n. 1858 del 3 aprile, curata da un magistrato amministrativo (uno dei presidenti della III Sez.) che conosce bene il diritto delle farmacie ed è autorevole in materia, e dal quale forse era dunque lecito attendersi anche qui, come diremo, qualcosa di più.

Proprio per questo abbiamo voluto attendere alcuni giorni prima di commentare questa decisione perché ne era imminente una seconda relativa anch’essa ad una vicenda di trasferimento di farmacia nella sede, che pertanto avrebbe potuto anche offrirci qualche delucidazione su alcuni passi un po’ oscuri dell’altra pronuncia; e invece sul punto che ora ci interessa la successiva sentenza n. 2019 del 13 aprile, avendo lo stesso estensore, “doppia” letteralmente la precedente senza nulla aggiungere o togliere.

Intanto, con ampia soddisfazione dei farmacisti e delle loro rappresentanze, la conclusione cui perviene la sent. 1858 (alla quale per semplicità faremo in prosieguo riferimento) è nella sostanza, se non proprio nella forma, quella della piena permanenza nel sistema di ambedue gli istituti; è l’esito caldamente invocato dalla categoria che nel corso di questo intero primo anno di vigenza del dl. 1/2012 aveva infatti temuto di doversi confrontare con un nuovo assetto normativo del settore non solo inciso “numericamente” nel modo a tutti noto, ma anche privato di due dei suoi stabili elementi costitutivi.

Il dibattito precedente sulla pianta organica

Prima di passare all’analisi della decisione, è però opportuno dar conto del largo dibattito che l’ha preceduta, perché forse può aiutare a interpretare meglio il futuro più ravvicinato, oltre a spiegare il titolo di queste note.

Quello della sopravvivenza o meno della pianta organica e della sede farmaceutica al dl. Cresci Italia è invero un tema ripetutamente affrontato già dalla conversione di legge del provvedimento (e anzi fin da qualche giorno prima, perché in concreto disvelato dal famoso parere ministeriale del 21/03/12); è infatti in tale circostanza, e addirittura nell’ultimo passaggio al Senato, che sono stati introdotti dal nulla – senza cioè alcun prodromo minimamente rinvenibile nel decreto legge – ulteriori e più controversi “segmenti” della Riforma.

Si era trattato di convertire in legge uno dei numerosi dl. di quei tempi, ma il Governo – con l’ausilio dei tecnici ministeriali che contribuirono parecchio alla stesura più o meno dell’intero nuovo testo dell’art. 11 – aveva colto in extremis l’occasione del maxi emendamento per imprimere al servizio farmaceutico una svolta che rendesse anch’esso, al pari di altri settori economici, meglio rispondente alla crescente esigenza generale anche interna di modelli di liberalizzazione e di concorrenza e quindi, anche per queste vie, alle esigenze di crescita e sviluppo economico ormai ai vertici dell’indirizzo politico e delle scelte del nostro legislatore.

Sotto questi aspetti, l’originario art. 11 era intervenuto in particolare con la riunione dei due precedenti rapporti limite di 1:5000 e 1:4000 nell’unico e più “ridotto” quorum di 1:3000 (poi “elevato” a 1:3300) e soprattutto con la liberalizzazione assoluta degli orari delle farmacie e dei prezzi al dettaglio di tutti i farmaci, che aveva improvvisamente riversato anche nel sistema farmacia queste misure proconcorrenziali di massimo livello sino ad allora applicate alle altre attività economiche e alle quali, nonostante le “scalfitture” dei decreti “Storace” e “Bersani”, le imprese=farmacie erano apparse fino a qualche tempo fa pressoché impermeabili.

Il vero è però che la liberalizzazione di orari e prezzi – portatrice nella realtà di qualche problema pratico anche sul piano della continuità temporale e territoriale del servizio, ma recepita in ogni caso senza grandi drammi e con enorme professionalità dalla categoria – era stata il primo duplice obiettivo, fermissimo e irrinunciabile, di quel Governo (conosciamo d’altra parte quali specifiche esperienze avessero maturato al riguardo Monti e Catricalà…), e infatti l’unica disposizione del primo dettato dell’art. 11 rimasta prodigiosamente immacolata, oltre che sorprendentemente quasi sottratta a qualsiasi censura, risultò alla fine proprio il comma 6, diventato poi comma 8 in fase di conversione del dl.

Ma quel testo si era rivelato per i “riformisti” sostanzialmente conservativo dell’assetto normativo della distribuzione territoriale delle farmacie perché, a parte l’introduzione di nuove ma del tutto peculiari categorie di esercizi soprannumerari, aveva bensì esplicitato nel comma 1 i principi ispiratori del massiccio intervento del legislatore (“favorire l’accesso alla titolarità delle farmacie da parte di un più ampio numero di aspiranti” e garantire “una più capillare presenza sul territorio” del servizio) ma senza dettarne le necessarie disposizioni applicative e per di più conservando integri tutti i capisaldi storici del sistema, come il contingentamento degli esercizi (prescindendo dalla “riduzione” del quorum, naturalmente), la pianta organica, la sede farmaceutica e la distanza minima tra le farmacie.

Nella riformulazione quasi per intero del primitivo art. 11, pertanto, vediamo l’innesto di altri moduli proconcorrenziali tra le imprese=farmacie e/o le imprese=parafarmacie come l’accelerazione delle “procedure per l’apertura di nuove sedi farmaceutiche” e l’ampliamento dell’area del farmaco vendibile dalla parafarmacia, ma vediamo anche la riscrittura integrale dell’art. 2 della l. 475/68 il cui nuovo testo indica inoltre le specifiche finalità di interesse pubblico che devono guidare i Comuni (resi ora attributari di qualsiasi potestà provvedimentale in materia) nella collocazione in via autoritativa delle farmacie sul territorio, in primo luogo quella di “assicurare una maggiore accessibilità” al servizio da parte dell’utenza e, in intima connessione, quella di “un’equa distribuzione sul territorio” degli esercizi “tenendo altresì conto, ecc.”.

Gli “ideologi” del testo finale dell’art. 11, come si è potuto poi evincere dallo stesso parere ministeriale, avevano infatti creduto che – con l’eliminazione della pianta organica per effetto della soppressione delle disposizioni dell’art. 2 della l. 475/68 che l’avevano generata e regolata nei contenuti (sia pure ripetendoli parzialmente dalla norma regolamentare di cui all’art. 22 del R.D. 1706/38) – sarebbe venuta meno ipso jure, senza quindi la necessità di altri interventi sul tessuto normativo vigente in quel momento, anche la sede farmaceutica, traendo quest’ultima la sua ragion d’essere proprio dalla p.o. (pur se forse era ed è vero il contrario, e questo sembra il pensiero anche del CdS, stando all’iter di svolgimento della sentenza).

La caduta della sede, “liberando” le farmacie – anche le vecchie – dal modulo più “anticoncorrenziale” che aveva caratterizzato da sempre il sistema, avrebbe potuto perciò favorire una progressiva conformazione della distribuzione territoriale degli esercizi ai nuovi criteri indicati nell’art. 2, con sensibile beneficio per le finalità ivi espressamente enunciate di una “più capillare presenza” e una “maggiore accessibilità” delle farmacie; l’idea insomma di sopprimere la p.o. e quasi a cascata anche la sede, per indirizzare tendenzialmente il complessivo servizio farmaceutico verso quegli obiettivi, si presentava indubbiamente – se coniugata con la scelta di non comprometterne le peculiarità di servizio programmato e pianificato – come la più “proconcorrenziale” giuridicamente possibile. Andare oltre, avrebbe voluto dire optare per il libero esercizio della farmacia.

Ma le cose – come si è osservato con ampiezza da più parti – non sono andate né avrebbero potuto andare come ipotizzava il disegno governativo.

Dal punto di vista puramente formale, per la verità, è difficile avere dubbi sulla rimozione della pianta organica-provvedimento dinanzi a una riformulazione dell’art. 2 della l. 475/68 tanto lontana e anche di rottura rispetto al testo precedente da risolversi in fatto in una vera abrogazione delle previgenti disposizioni.

Oggi infatti “ogni comune deve avere” non più “una pianta organica delle farmacie nella quale è determinato il numero, le singole sedi farmaceutiche e la zona di ciascuna di esse” ma, semplicemente e ben diversamente, “un numero di farmacie” e quel che “è sottoposto a revisione entro il mese di dicembre di ogni anno pari, ecc” è sempre e soltanto il “numero di farmacie spettanti a ciascun comune” e non più la “pianta organica”, senza contare che nell’art. 2, ora composto di soli due commi in luogo dei precedenti cinque, è scomparso qualsiasi riferimento, e non di mero vocabolario, alla “pianta organica”.

Invece, della piena sopravvivenza della sede farmaceutica nessuno può ragionevolmente dubitare, e infatti, se si escludono un paio di decisioni di Tar, nessuno ne ha dubitato: i numerosi argomenti testuali a sostegno sono stati illustrati estesamente da tutti e dappertutto (v. da ultimo, la già citata Sediva news del 12/03/2013) per doverne riparlare ancora e comunque anche la sentenza, pur stringatamente, conclude allo stesso modo.

Il naufragio del progetto ministeriale

Se quindi per la metà (pianta organica) quel programma governativo almeno nella forma (ne conviene, ci pare, lo stesso CdS) poteva anche essere andato in porto, il suo fallimento per l’altra metà (sede farmaceutica) comportava sul piano effettuale il naufragio dell’intero progetto, perché – come era nel ricordato pensiero dei “riformisti” – la “liberazione” delle farmacie dai rigidi confini delle rispettive circoscrizioni avrebbe potuto favorire la migliore aderenza del numero e della distribuzione degli esercizi al numero e alla distribuzione degli abitanti (con il conseguente tendenziale adeguamento dell’offerta alla domanda di farmaci) e pertanto, corrispondentemente ai ripetuti dettami dell’art. 11, una “più capillare presenza” delle farmacie sul territorio e una “maggiore accessibilità” per i cittadini-consumatori.

Colsero subito queste criticità anche i funzionari ministeriali che tentarono di superarle con notazioni solo in minima parte condivisibili e per il resto più che altro suggestive (ne abbiamo parlato dettagliatamente nella Sediva news del 2-3-4/05/2012: “Se cadono ecc…”), e ipotizzando anche rimedi peggiori del male come, ad esempio, uno sciagurato e ingestibile doppio regime di farmacie (con una sede – neppure “chiusa” – le vecchie, senza sede le nuove).

Ma, pur accantonando i richiami anche nell’art. 11 a “zone” e “sedi farmaceutiche”, c’era soprattutto il problema (forse sfuggito nella fretta di redigere il maxi-emendamento) della indubitabile persistente vigenza del quarto comma dell’art. 1 della l. 475/68 riguardante il trasferimento della farmacia nella sede, che rendeva perciò ineludibile un ulteriore e più sicuro intervento legislativo in grado di piegare definitivamente la normativa di riferimento, e questa volta senza incertezze, alla scelta riformistica immaginata nel parere.

Di qui i tentativi a più riprese di introdurre, un po’ in tutti i provvedimenti che seguirono al d.l. Cresci Italia, “emendamenti” diretti all’abrogazione espressa del trasferimento nella sede e del decentramento della sede (art. 5, l. 362/91) e all’introduzione di una modifica “ad hoc” del quarto comma dell’art. 1 innestandovi la trasferibilità della farmacia sull’intero territorio comunale (anzi, in uno di quegli “emendamenti”, fortunatamente subito rientrato, c’era anche la soppressione della distanza legale…).

La fine anticipata della XVI Legislatura ha impedito però che andasse a segno quest’ultimo “segmento” della Riforma, ma c’è da credere che il Governo (di cui è entrato a far parte lo stesso Antonio Catricalà come Sottosegretario allo Sviluppo…) e il Ministero della Salute – i cui funzionari sono restati naturalmente al loro posto, e non è certo secondario il ruolo che storicamente costoro rivestono nel nostro apparato statale – possano quanto prima reiterare il tentativo.

Del resto, le pressioni proconcorrenziali e/o liberalizzatrici nei Paesi della UE paiono inesauribili e in nome della concorrenza – anche in uno strettissimo rapporto di mezzo a fine con la crescita economica – i legislatori si spingono sempre più avanti non curandosi più di tanto di compromettere interessi finora intensamente tutelati magari negli stessi loro testi costituzionali; un esempio, se guardiamo pure alle recenti pronunce di Corte Costituzionale e Cassazione (commentate approfonditamente anche da noi), rischia di fornirlo proprio la “tutela della salute” nonostante sia la sola considerata dalla ns. Cost. (art. 32) come un “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.

Perfino il DEF 2013 ha ritenuto ora di doversene occupare espressamente, avvertendo l’esigenza di tenere sotto osservazione, per restare in tema, anche “l’impatto delle nuove norme nel settore delle farmacie” e di “dare continuità all’attuazione dell’attività di monitoraggio sulle riforme, oltre che prevedere un coordinamento delle politiche di liberalizzazione che consenta di valutare in maniera chiara e tempestiva i settori più problematici dal punto di vista della concorrenza”.

Non è in definitiva pensabile che i nuovi indirizzi politici (che, come stiamo vedendo in questi giorni, difficilmente saranno del tutto nuovi) possano o vogliano più di tanto modificare la rotta; per di più l’emergenza – specie considerando che quella del momento non è tanto della finanza pubblica quanto piuttosto economica e sociale, e quindi impatta pesantemente proprio su crescita e sviluppo – può limitare le libertà di scelta e imporre soluzioni necessitate compreso il sacrificio, come accennato, di interessi considerati in precedenza meritevoli della massima protezione; stiamo riferendoci evidentemente anche alla “tutela della salute” e pertanto anche, al suo interno, alla disciplina del servizio delle farmacie sul territorio.

La sentenza 1858/2013 del CdS

È anche in questo clima “ideopolitico” che va allora inquadrata la sentenza 1858/13 del Consiglio di Stato, che interviene, oltre che su piante organiche e sedi farmaceutiche, anche su qualche altro aspetto di interesse per le farmacie (e meriterebbe perciò, oltre che per la sua intelligibilità, di essere letta attentamente pure da chi è poco avvezzo alle cose giuridiche) ma che purtroppo, ritenendo trattarsi della “mera reiterazione di un’istanza già presentata e respinta”, non dipana la questione – molto importante nella vita di tutti i giorni dei farmacisti e che attende da anni il giudizio del Consiglio di Stato – dell’applicabilità o meno del silenzio-assenso (nel termine di 60 gg.) anche alle domande di rilascio del provvedimento di autorizzazione nei casi di trasferimento della titolarità della farmacia, di apertura di un nuovo esercizio e di spostamento da un locale all’altro nella circoscrizione di pertinenza. Vorrà dire che se ne riparlerà in un’altra circostanza.

Dunque, esaminando una fattispecie riguardante anch’essa il trasferimento di una farmacia all’interno della sede (al pari di quelle oggetto della precedente ord. 751/13 e della successiva decisione n. 2019/13), la sentenza, dopo aver risolto affermativamente e in termini convincenti il profilo centrale e praticamente decisivo dell’inerenza alla sede di riferimento della località in cui il titolare della farmacia aveva richiesto di trasferire l’esercizio, si pone anche e affronta il tema, di ben maggiore rilevanza per la “collettività” delle farmacie, dell’incidenza sull’“impianto generale della disciplina” delle modifiche apportate all’ordinamento farmaceutico dal Cresci Italia.

E’ stata questa la prima volta in cui se ne è occupato il Consiglio di Stato, e anche per questo – pur se in quel caso si è trattato di un aspetto esaminato soprattutto incidentalmente e per seguire lo stesso iter motivazionale della decisione di 1° grado – l’indagine avrebbe forse dovuto essere svolta meno sbrigativamente e con maggior rigore; dobbiamo infatti considerare che specie il giudice amministrativo esercita nel nostro ordinamento una funzione (sempre più) “pretoria”, cioè creativa di regole di condotta non previste dalla legge e ci pare quindi imprescindibile che il Supremo Consesso, a maggior ragione nello scrutinio di norme che segnino o possano segnare la transizione da un assetto ad un altro, intervenga il più possibile compiutamente e sollecitamente, così da infondere certezza del diritto quando più se ne avverte il bisogno e al tempo stesso, cosa non da poco, ridurre i costi dell’agire amministrativo.

In sintesi, per scendere ora nel dettaglio, “rimane invariato l’impianto generale della disciplina, a partire dal “numero chiuso” delle farmacie…” il quale “implica logicamente che la distribuzione degli esercizi sul territorio sia pianificata autoritativamente”, e infatti il nuovo testo del primo comma dell’art. 2 della l. 475/68 indica esplicitamente alla pubblica amministrazione, una novità in senso assoluto, addirittura i criteri – del tutto in linea con le nuove esigenze – che devono ora presiedere all’“identificazione” delle “zone nelle quali collocare le nuove farmacie, al fine di assicurare ecc…” (ne abbiamo discorso anche poco fa).

Certo, “non si parla più di “sedi” ma di “zone”; ma questo mutamento non è rilevante, perché la giurisprudenza aveva già da tempo avvertito che quando la normativa previgente usava il termine “sede” si doveva intendere “zona”, perché ecc…”: ma in realtà di “sedi” si continua a parlare, eccome, anche nell’art. 11, e poi forse è vero l’opposto perché era piuttosto il termine “zona” a doversi intendere come “sede”…

Inoltre, “è vero che la nuova formulazione dell’art. 2 sembra riferirsi esplicitamente solo all’assegnazione delle “zone” alle farmacie di nuova istituzione, tacendo delle altre; ma stanti il contesto e la finalità dichiarata dalla legge, è ovvio che anche le farmacie preesistenti conservano il rapporto con le “sedi”, ossia “zone”, originariamente loro assegnate”; ma semmai avrebbe potuto dubitarsi – come ne ha dubitato, sia pure non a ragione per quanto detto, il Ministero della Salute nel parere del 21/03/2012 – della riconducibilità ad una “zona”=“sede” anche delle “farmacie di nuova istituzione”, non però delle “farmacie preesistenti”, neppure sfiorate dal testo della disposizione.

Infine, se “l’impianto generale della disciplina” è rimasto “invariato”, quindi improntato ad un “numero chiuso” di farmacie dislocate sul territorio mediante provvedimenti di pianificazione (oggi) comunali, ad ognuna delle quali – vecchie o nuove che siano – pertiene tuttora in via esclusiva una porzione territoriale dai confini ben definiti (o da ben definire…), cioè una sede farmaceutica, deve allora ritenersi migrato anche nel nuovo ordinamento di settore, se non proprio “un atto tipico denominato “pianta organica” (che infatti, come riconosce anche il CdS, “la legge non prevede più espressamente”), almeno “uno strumento pianificatorio che sostanzialmente, per finalità, contenuti, criteri ispiratori, ed effetti corrisponde alla vecchia pianta organica e che niente vieta di chiamare con lo stesso nome”.

Vista la soppressione della norma madre dell’istituto, questa non sembrerebbe tuttavia una deduzione proprio corretta, ma sicuramente è molto pragmatica perché permette nei fatti di ricondurre nel loro involucro originario tutti i contenuti che erano tipici della (pur formalmente soppressa) pianta organica-provvedimento, perciò quelli meramente dichiarativi (farmacie in attività sul territorio e/o i loro titolari) e soprattutto quelli costitutivi (numero e ambito territoriale delle singole sedi farmaceutiche), che senza questa disinvolta accelerazione del Consiglio di Stato avrebbero anche potuto essere destinati a ricercare altrove un nuovo “ubi consistam” (un’operazione peraltro non affatto complicata).

Anche con questo suggerimento… semantico siamo dunque in definitiva d’accordo, come condividiamo allo stato – almeno nella loro nudità (perché qualche riserva sulla profondità e la compiutezza dell’indagine, come anche su alcune notazioni incidentali, l’abbiamo già espressa) – tutte le conclusioni cui perviene il CdS, tanto più che certe affermazioni di contorno rilevate in alcuni suoi precedenti provvedimenti potevano forse far sospettare che anche il Supremo giudice amministrativo (al pari degli altri massimi organi di giustizia) avrebbe potuto subire il fascino irresistibile delle liberalizzazioni e della concorrenza e optare – anche quanto, in particolare, alla sede farmaceutica – per una ricostruzione dell’art. 11 fortemente creativa o comunque disancorata dal testo delle disposizioni.

Per il momento, invece, su piante organiche e (soprattutto) sedi farmaceutiche le due sentenze n. 1858 e n. 2019 – in termini che non dovremmo aver male inteso, visto come sono state decise le rispettive questioni di spostamento nella sede esaminate nelle due circostanze – hanno detto e voluto dire proprio quanto appena riportato e, anche tenuto conto dell’autorevolezza del loro estensore, si può pensare che la giurisprudenza dell’immediato futuro (i Tar come lo stesso CdS) deciderà in conformità almeno i vari ricorsi riguardanti appunto trasferimenti di farmacie nella sede, che del resto – proprio per le incertezze che hanno caratterizzato l’intero periodo – restano anche nella fase attuale (se escludiamo le questioni insorte dalle revisioni straordinarie dello scorso anno) le fattispecie più controverse.

L’inevitabile soluzione… gattopardiana

Il CdS, non ravvisando nell’art. 11 nessuna palingenesi del sistema, ha perciò “ripristinato” l’inviolabilità della sede e qualsiasi privativa della farmacia sulla corrispondente porzione territoriale, cosicché ogni esercizio, di vecchia o nuova istituzione, dovrebbe ora aver “acquistato” o “riacquistato” – o, se si preferisce, non aver mai perduto – il diritto di spostarsi al suo interno secondo le regole che conosciamo, ma con l’obbligo corrispondente di non trasferirsi… oltre confine.

Andrebbe pertanto abbandonato almeno per qualche tempo qualunque ulteriore tentativo di individuare criteri più o meno laboriosi, quanto fatalmente equivoci, di trasferimento delle farmacie sul territorio che ne legittimino per qualche verso lo spostamento “fuori sede”; pensiamo in particolare a quello – peraltro straordinariamente “futuribile” – individuato dal Tar Toscana (che in pratica ha per conto suo “convertito in legge” l’insistito progetto ministeriale: v. la già citata Sediva news del 12/03/2013) e all’altro, meno fantasioso ma non meno avulso sia dall’art. 1 della l. 475/68 come dall’art. 11, proposto dalla sent. 173/2013 della Sez. di Brescia del Tar Lombardia, che sorprendentemente ha raccolto qualche consenso anche tra Autori che in genere non sono poeti del diritto e che possono forse aver giudicato l’ipotesi bresciana, almeno nel clima difficile generato dall’incertezza, un… male minore.

D’altra parte, opzioni del genere, se non fossero state messe ora fuori gioco dalle decisioni del CdS, avrebbero potuto – pur essendo sotto qualche aspetto meritorie perché in fondo si ispirano alle linee proconcorrenziali che stanno guadagnando campo in ogni dove – creare in questo momento più danni che benefici, che poi è talora il destino delle soluzioni un po’ troppo “à la carte”.

Diverso naturalmente è quando sia una norma di legge che, “in casi di necessità o di urgenza per comprovati eccezionali motivi”, contempli espressamente “il trasferimento dei locali di una farmacia anche al di fuori, purché nelle immediate adiacenze, del perimetro della sede per la quale fu concessa l’autorizzazione”: si tratta sì di una disposizione regionale (l.r. Campania n. 10 del 27/06/11), ma – tenuto conto dei suoi rigorosi presupposti applicativi – questa deroga all’“inviolabilità” della sede dovrebbe senz’altro rientrare nella competenza residuale del legislatore regionale, talché, se la norma statale non regolerà diversamente la materia, questo potrebbe essere un esempio (pur destinato quasi per definizione a generare incertezze) seguito anche da altre Regioni.

Sempre secondo gli assunti della sentenza, inoltre, nei casi in cui “nuove farmacie” – non molte comunque – siano state collocate sul territorio solo con l’indicazione di una via o piazza (e/o vie e/o piazze adiacenti) e senza alcuna modifica dei confini delle circoscrizioni incise dall’“intrusione”, quindi in conformità all’idea ministeriale espressa nel parere, il Comune dovrà provvedere rapidamente a ripristinare l’ordine infranto configurando una sede anche per ognuna di esse e ovviamente ridisegnare nel contempo le sedi contermini.

È un intervento che potrà essere anche provocato da una specifica istanza dell’Ordine dei Farmacisti e/o dell’Associazione sindacale e/o degli stessi titolari di farmacia interessati e però anche innestato direttamente nella prima revisione biennale della (richiamiamola così) “pianta organica” successiva a quella straordinaria dello scorso anno, che peraltro alcuni comuni hanno già avviato ritenendo, probabilmente non a torto, che il termine previsto nell’art. 11, pur ordinatorio, sia quello del 31/12/2012 e che i dati Istat vadano pertanto assunti al 31/12/2011; anzi, è auspicabile che tali aggiustamenti, che non sono affatto di mera forma, avvengano proprio in sede di revisione perché vi potrà partecipare e contribuire anche l’Ordine dei farmacisti.

La revisione biennale dovrebbe in ogni caso rivelarsi un provvedimento di latitudine persino molto ampia, fino a corrispondere esattamente, perché no?, a quella contemplata nel testo previgente dell’art. 2 della l. 475/68, tanto più che secondo una proposizione di rifinitura del CdS “è nella logica delle cose che questo potere-dovere di pianificazione territoriale non si eserciti una tantum ma possa (e se del caso debba) essere nuovamente esercitato per apportare gli opportuni aggiornamenti, e che ciò venga fatto nel quadro di una visione complessiva del territorio comunale”.

Il difficile raccordo tra il vecchio e il nuovo

Quella appena riportata sembrerebbe una seconda notazione – dopo l’altra sulla sostanziale identità di contenuto tra “nuova” e “vecchia” pianta organica – che raccorda o tenta di raccordare le disposizioni precedenti tuttora in vigore con quelle contenute nell’art. 11, un’opera evidentemente sempre necessaria in questi casi e che in genere si compie in tappe successive.

Ma è una notazione che potrebbe almeno sotto alcuni aspetti rivelarsi anche di grande utilità pratica perché in grado di semplificare parecchio la vita ai comuni, che ora conoscono infatti l’ampio ambito di operatività dei loro provvedimenti, ma anche delle farmacie che possono continuare a far valere all’interno stesso del procedimento biennale di revisione (come è sempre stato) ogni loro esigenza sopravvenuta riguardante, ad esempio, eventuali modifiche della sede o addirittura il suo “decentramento” in altra zona del territorio.

Per altri profili, invece, l’affermazione pare intavolare un grande problema che però il Consiglio di Stato, sempreché se lo sia davvero posto, non ha forse inteso affrontare convenientemente, perché in realtà – ecco il punto – è un problema allo stato perfettamente irrisolvibile almeno dai comuni mortali.

Come abbiamo letto, la sentenza dà per scontato, perché sarebbe “nella logica delle cose”(?), che i Comuni possano/debbano – non sappiamo dire se all’interno della revisione biennale e/o con provvedimenti “alla bisogna” – “apportare gli opportuni aggiornamenti” all’assetto del servizio farmaceutico pianificato sul territorio e, tanto per gradire, “nel quadro di una visione complessiva del territorio comunale”.

Le due asserzioni virgolettate sono francamente criptiche, se non – stando alle conclusioni che la sentenza stessa trae sulla sede farmaceutica – persino incomprensibili, perché quali “opportuni aggiornamenti” potrebbe mai apportare l’amministrazione competente “nel quadro ecc.”, se a ogni farmacia, come recitava il testo previgente del primo comma dell’art. 2 della L. 475/68, continua a corrispondere una sede e a ogni sede una farmacia, e se conseguentemente l’esercizio può spostarsi solo all’interno della sua circoscrizione?

Certo, lo si è già ricordato, il provvedimento di revisione periodica può tuttora modificare i confini di una sede in funzione di una migliore ubicazione della relativa farmacia, come pure configurare nuove sedi – per “decentramento” di altre ex art. 5, l. 362/91 – a copertura di nuove esigenze dell’assistenza farmaceutica derivanti da “mutamenti nella distribuzione ecc.”; ma non sembra siano questi gli “opportuni aggiornamenti” da apportare “nel quadro ecc.” di cui parla il CdS, perché una precisazione in tal senso sarebbe stata inutile.

Può dunque anche darsi, a meno che non si tratti di una pura affermazione di contorno e quindi non significativa di niente, che la sentenza abbia voluto abbozzare una soluzione-quadro – non potendo allo stato fare di meglio – della questione, di massima importanza sul piano sistematico, della più o meno piena compatibilità con i nuovi principi dell’art. 11 di un servizio farmaceutico sul territorio tuttora caratterizzato da tante sedi farmaceutiche “inviolabili” per quante sono le farmacie e, in particolare, della sfera di estensibilità (se ce n’è una…) anche alle “farmacie preesistenti” del nuovo art. 2 della l. 475/68, che – come leggiamo anche nella decisione – “sembra riferirsi esplicitamente solo… alle farmacie di nuova istituzione”.

Il CdS l’interrogativo se lo pone ma soltanto per affermare che “anche le farmacie preesistenti conservano il rapporto con le sedi, originariamente loro assegnate” (pur se, come già rilevato, un problema di “sede”=”zona” avrebbe potuto sorgere al più per quelle di nuova istituzione…), mentre nulla dice con riguardo all’applicabilità, e soprattutto al modo di applicabilità, alle vecchie farmacie dei criteri che devono ispirare le scelte comunali nella collocazione delle nuove sul territorio.

Ma così formulato l’art. 11 non dovrebbe essere in grado di sciogliere questi nodi cruciali, i quali possono pertanto rendere il suo testo attuale inidoneo ad assicurare omogeneità al servizio farmaceutico e la necessaria stabilità al suo stesso assetto giuridico; parrebbe infatti derivarne un sistema binario di grande fragilità, perché verosimilmente ora articolato, da un lato, su “farmacie nuove” distribuite sul territorio secondo i nuovi canoni pubblicistici e, dall’altro, su un numero molto più ampio di farmacie preesistenti ubicate secondo criteri diversi e che però, pur originariamente collocate anch’esse in funzione della migliore qualità del servizio complessivo, non potrebbero – per le angustie e/o l’invalicabilità dei confini delle loro sedi – rispondere oggi adeguatamente alle primarie finalità enunciate nell’art. 11.

Per di più, questa pur condivisibile “restituzione” a ogni farmacia di una sede farmaceutica, sempre supponendo che qualche passaggio della sentenza non sia stato da noi male interpretato, urta visibilmente (così è sempre stato, siamo d’accordo, ma ormai il contrasto forse va davvero rimosso) con la libera esplicazione della concorrenza tra le imprese – tra le quali, e non solo da questo punto di vista, oggi rientrano pienamente anche le farmacie, come abbiamo visto commentando la sentenza della Cassazione sulla famosa intesa negoziale tra esercizi casertani – perché il “confino” di ogni farmacia all’interno della sua sede, come abbiamo già notato, è certo la misura più “anticoncorrenziale” che si possa concepire.

La soluzione… gattopardiana del Consiglio di Stato – che, s’intende, è allo stato del tutto ortodossa – rischia insomma di fare presto i conti (e le ragioni le abbiamo illustrate poco fa) con il probabile nuovo intervento del legislatore, ovvero, prima o poi, con la Corte Costituzionale o la Corte europea di giustizia (e non è affatto scontato che oggi il loro giudizio ricalchi perfettamente i rispettivi precedenti in materia), cui infatti qualche Tar più scrupoloso di altri, se non lo stesso CdS, potrà anche rinviare la vicenda appunto per i suoi aspetti di conflitto, in particolare, con le esigenze di tutela della concorrenza (e in questo senso sembra eloquente quel tentativo della Sez. di Brescia del Tar Lombardia, ora bocciato dal CdS, di conciliare l’“inviolabilità” della sede con la necessità di individuare modelli in deroga).

Le prospettive

Diventa per noi quindi fondamentale, come abbiamo ripetuto fino alla noia in note precedenti, che – essendo questo il testo dell’art. 11 – sia rispolverato quanto prima quel vecchio disegno ministeriale che voleva eliminare (dopo la pianta organica…) anche il dogma della sede farmaceutica, modificando il comma 4 dell’art. 1 della l. 475/68 e abrogando l’art. 5 della l. 362/91.

Cadendo così sia il trasferimento nella sede che quello della sede, tutte le farmacie – dapprima le vecchie, ma in prosieguo, sempre ricorrendone le condizioni, anche le nuove, perché si tratterebbe di norme “permanenti” – potrebbero spostarsi sull’intero territorio comunale e non più con riguardo alle non meglio identificate “esigenze degli abitanti della zona” (evocate, per il trasferimento nella sede, nel settimo comma dell’art. 1 della l. 475/68) ma ai nuovi principi guida della distribuzione e collocazione sul territorio delle farmacie, e pertanto “più capillare presenza” degli esercizi, “maggiore accessibilità” al servizio anche per “quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate” e naturalmente “un’equa distribuzione sul territorio” delle farmacie.

Il servizio farmaceutico sarebbe invero sempre caratterizzato dalla individuazione e configurazione a cura della p.a., a seguito di istanze di trasferimento dei titolari di farmacia e/o d’ufficio come oggi prevede per i “decentramenti” l’abrogando art. 5 della l. 362/91, non già di porzioni di territorio dai confini rigidi e invalicabili e invece di tante “zone” da servire – corrispondenti a (sempre virtuali) “bacini di utenza” identificati magari con l’indicazione di quelle vie o piazze (e/o adiacenze) di cui ha parlato per la prima volta il Ministero della Salute – per quante sono le farmacie dislocate o da dislocare.

E la “sede farmaceutica”, tuttora richiamata qua e là un po’ dovunque, diventerebbe semplicemente sinonimo di “farmacia” (come del resto talvolta è stato nel linguaggio anche giurisprudenziale), e, quanto alla “zona”, finirebbe per assumere esattamente quello stesso significato che un po’ apoditticamente aveva indicato il parere del Ministero, quello cioè di porzione dell’ambito comunale dove l’esercizio va ubicato, un’area sicuramente molto più ridotta (via e/o piazza e/o vie adiacenti) quando la farmacia fosse destinata al tessuto più strettamente urbano, e molto più ampia se la porzione territoriale da servire fosse invece periferica, suburbana o addirittura agreste. E tutto questo, s’intende, a valere per le nuove farmacie come per le vecchie.

Né deve intimorire più di tanto che sia il Comune a doversi occupare di tutto questo, perché si tratta dell’amministrazione ormai competente in via esclusiva a provvedere sulla collocazione territoriale delle farmacie e quindi bisogna imparare a farsene una ragione (tenendo conto oltretutto che il giudice amministrativo sta mostrando in questi giorni di non ravvisare alcun profilo di illegittimità, né costituzionale né comunitaria, nella inquietante doppia veste quantomeno potenziale dei Comuni…), e poi non bisogna affatto sottovalutare il ruolo riconosciuto agli Ordini dei farmacisti che possono infatti far valere pienamente – ed è anzi necessario che questo avvenga, con tutte le difficoltà che può comportare in concreto lo svolgimento del compito – le loro ragioni all’interno dei vari procedimenti.

Come si vede, non siamo in presenza di un progetto…eversivo e neppure di mutazioni genetiche, perché l’ordinamento del settore continuerebbe a proteggere la farmacia – i farmacisti sanno di che protezione si tratta, rispondendo alla scelta originaria della legge Giolitti, ribadita con costanza dai legislatori successivi e ben illustrata dalla Corte Costituzionale – con misure di programmazione come il contingentamento degli esercizi e misure di pianificazione sul territorio come l’assegnazione d’imperio, iniziale e/o successiva, ad ogni farmacia di una “zona” come appena detto e il rispetto di una distanza legale tra le farmacie. Se il “presente”, del resto, sembra ormai un “passato”, si può almeno tentare di non restarne inutilmente prigionieri.

Non siamo personalmente molto pratici di cose sindacali o politiche, ma i farmacisti potrebbero essere loro stessi – prima che magari lo faccia qualche altra “forza” e in termini dirompenti – a rendersi parte diligente per questa definitiva migrazione nel futuro, cogliendo anche l’occasione, se si presenterà, per apportare qualche utile accorgimento al testo di quel disegno di legge ripetutamente proposto, con l’innalzamento, ad esempio, della distanza legale (se ricordiamo bene, erano state proprio le Regioni a invocare un rialzo a 300 m., ritenendo giustamente che questa sarebbe stato un limite più aderente alla massima capillarità del servizio farmaceutico sul territorio) e anche con un’opportuna modifica al nuovo comma 4 dell’art. 1 della l. 475/68 tale da impedire che, come era invece nell’ultimo testo del ddl., l’accoglimento dell’istanza del titolare di farmacia che richiede lo spostamento dell’esercizio sia la regola e il rigetto l’eccezione.

Qualche volta, insomma, può valere la pena giocare d’anticipo.

(gustavo bacigalupo)

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