orari-delle-farmacieNei grandi centri urbani stiamo assistendo, particolarmente per il servizio notturno, al graduale ritorno ad una “turnazione” tra tutte le farmacie o almeno tra quelle di uno stesso quartiere o di uno stesso distretto Asl, come è il caso del distretto della Asl RM/C.

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Sono città in cui il servizio di notte è/era svolto su base volontaria, senza cioè alcuna rotazione tra le farmacie, ma che – dinanzi al prolungamento dell’orario serale/prenotturno di numerosi esercizi non di turno – i “volontari” possono comprensibilmente non avere più grande interesse a tenere in piedi e quindi, con il rispetto delle modalità previste dalle norme regionali anche con riguardo ad un “preavviso di cessazione”, molti di loro vi stanno rinunciando.

Non tutti gradiscono questa eventualità, ma non dovrebbe prospettarsi come una vicenda straordinariamente drammatica, perché il titolare di una farmacia non può ignorare che uno o più “turni di guardia”, specie nelle ore piccole, possono persino “valorizzare” sotto alcuni aspetti il suo triplice ruolo di professionista/imprenditore/esercente un servizio pubblico, come sapevano bene il padre, il nonno e il bisnonno (su questo tema in generale ci è capitato di leggere su un sito internet uno splendido articolo, a firma Francesco Palagiano, intitolato: “Titolarità del servizio farmaceutico e titolarità della licenza di esercitarlo”, che in poche battute spiega con grande efficacia cos’è una farmacia e anche cosa… non è una parafarmacia).

Venendo ora al primo dei due temi citati nel titolo, con la sentenza n. 299 del 19/12/2012 – che ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità, quindi affermandone nella sostanza la legittimità costituzionale, del comma 1 dell’art. 31 del dl. 201/11 (promossa da otto Regioni soprattutto in riferimento all’art. 117, II, III e IV c. e anche all’art. 118 della Cost.) sulla piena liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura delle attività commerciali – la Corte Costituzionale sembra togliere qualunque illusione a chi possa ancora confidare in una demolizione anche parziale del comma 8 (primo periodo) dell’art. 11 del dl. Cresci Italia, cioè della norma liberalizzatrice degli orari delle farmacie (e secondo cui: “I turni e gli orari di farmacia stabiliti dalle autorita’ competenti in base alle vigente normativa non impediscono l’apertura della farmacia in orari diversi da quelli obbligatori”).

Su questa pronuncia, che chiunque può leggere ricavandone il testo integrale dal portale della Corte, è sufficiente aggiungere che, in linea con recenti altre sue decisioni e con l’immancabile ordinamento comunitario, vi si ribadisce ancora una volta che la “tutela della concorrenza” – riservata alle leggi dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. e) Cost.) – va ormai assunta in un’accezione sia “dinamica”, finalizzata cioè anche ad aprire nuovi mercati e/o ad ampliare quelli già in atto e dunque anche come promozione della concorrenza, quanto anche “trasversale”, perciò dall’area di operatività non certa né delimitata e in grado conseguentemente di influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni.

Sono esattamente queste due caratteristiche della dinamicità e trasversalità, continua la Corte, a legittimare sul piano costituzionale un intervento del legislatore statale di tale portata nella disciplina degli orari degli esercizi; rientrando infatti quest’ultima in una materia – il “commercio” – che è attribuita in via esclusiva alle Regioni (ex art. 117, quarto comma, Cost.) solo nella sua configurazione “statica”, anche gli orari dei negozi diventano pienamente ri-regolabili (pur con il rispetto, come vi è detto espressamente, di tutti i diritti dei lavoratori dei vari settori) da provvedimenti aventi forza di legge quando lo Stato scelga appunto di avvalersene in nome e a favore della “tutela della concorrenza”.

Secondo la sentenza, in particolare, anche una disposizione che, come il comma 1 dell’art. 31 del dl. 201/11, sopprima qualunque limite sia agli orari che ai giorni di apertura al pubblico degli esercizi commerciali finisce per attuare un principio di liberalizzazione, rimuovendo vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche e del diritto d’impresa, favorendo la creazione di un mercato sempre più aperto all’ingresso di nuovi operatori e allargando nel contempo il ventaglio delle scelte dei consumatori; è quindi una disposizione del tutto funzionale alla “tutela della concorrenza” e rientrante a questo titolo nelle competenze del legislatore statale.

Sono sicuramente affermazioni (e riaffermazioni) di grandissimo rilievo che però, pur magari impensabili soltanto alcuni anni fa, oggi non possono più sorprendere essendo espressione di orientamenti ormai consolidati e irreversibili dei nostri giudici costituzionali, che pertanto, se mai chiamati alla verifica anche del comma 8 dell’art. 11 del dl. Crescitalia (ma non ci risulta che le Regioni si siano mosse in tal senso, né è certo che vi provveda qualche Tar), non potranno che giungere a queste stesse conclusioni.

Per di più, dato che la “tutela della salute”, nella quale certo rientra anche la disciplina del sistema farmacia, è materia in cui la competenza del legislatore regionale è soltanto concorrente e di mero dettaglio rispetto a quella di principio del legislatore statale, non è forse neppure necessario invocare le ragioni della “tutela della concorrenza” per spiegare la disposizione liberalizzatrice degli orari delle farmacie, perché in effetto questa ha (anche) dettato – in sostituzione di quello enunciato dall’art. 119 del TU. San. del 1934 (obbligo del titolare di farmacia di mantenerne “ininterrottamente“, avverbio da riferirsi peraltro al servizio farmaceutico nel suo complesso e non alla singola farmacia, il regolare esercizio “secondo le norme ecc.”) – un nuovo “principio fondamentale”.

È un principio che dopo oltre un anno abbiamo indubitabilmente tutti ben compreso (anche perciò chi, per intimo convincimento ovvero per il suo ruolo istituzionale o professionale, ha opposto sin dall’inizio una più o meno tenace resistenza all’unica interpretazione possibile della disposizione liberalizzatrice) e per il quale una farmacia – fermo il rispetto dei turni (festivi, pomeridiani, notturni ed estivi) – ha facoltà di tenere aperto l’esercizio (anche) in qualsiasi orario diverso da quello di apertura obbligatoria per turno, e dunque non soltanto dalle ore 00 alle ore 24 di tutti i giorni della settimana da lunedì a venerdì, ma anche dalle ore 00 alle ore 24 del sabato, della domenica, dei giorni festivi infrasettimanali e di quelli di “ferie”, perché per quella farmacia, se non tenuta a osservare l’apertura per turno, anch’essi si rivelerebbero “orari diversi da quelli obbligatori”.

Inoltre, è un precetto formulato in termini che non fanno dubitare della sua immediata prescrittività (“…non impediscono…”, recita perentoriamente la norma), talché le previgenti disposizioni regionali, ove con esso in contrasto, devono ritenersi ipso jure caducate senza necessità che lo sancisca la Corte, anche se un intervento di quest’ultima non si può escludere perché, a parte i ricorsi governativi contro nuove norme regionali eventualmente confliggenti con il comma 8, prima o poi un Tar – soprattutto alla luce dell’ordinanza del Consiglio di Stato dell’1/9/2012 – riterrà forse di demandarle qualche questione di costituzionalità di norme precedenti.

La disposizione statale ha indiscutibilmente ridotto l’area dell’intervento del legislatore regionale, ma quel che resta sembra uno spazio ancora vitale e in grado di incidere persino significativamente sulla quantità – che talora può diventare anche qualità – del generale servizio reso dalle farmacie sul territorio.

Certo, disposizioni regionali che comprimessero anche indirettamente la facoltà del titolare di farmacia di tenere aperto l’esercizio – “a sua discrezione” (come ha chiarito l’ordinanza appena citata del CdS e da noi ampiamente già illustrata: v. “Il punto sulla riforma-Monti, ecc.” in Sediva news del 31/10/2012) – anche in “orari diversi da quelli obbligatori” sarebbero probabilmente censurate dalla Corte.

Non così però disposizioni che invece intervenissero ragionevolmente, ad esempio, sull’orario minimo settimanale delle farmacie (e, visti i tempi, irrobustendolo) e/o sul numero di esercizi obbligatoriamente aperti per turno oltre tale orario (disciplinando così il servizio pomeridiano, quello notturno e quello festivo), o che stabilissero un periodo massimo di chiusura facoltativa per ferie ma prefissando in ordine a ciascun periodo il numero di farmacie ammesse a usufruirne (provvederebbero poi Comuni, Asl e Ordini dei farmacisti ad articolare concretamente i vari turni); sarebbero anzi misure legislative di dettaglio – seguite da provvedimenti amministrativi di natura anche regolamentare – verosimilmente meritorie perché assunte con precipuo riguardo alle caratteristiche topo-demografiche dei vari ambiti comunali o intercomunali e perciò alle effettive esigenze della popolazione residente o fluttuante sul territorio.

In definitiva, il comma 8 dell’art. 11 – perlomeno sul delicato versante del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni – è destinato a resistere agevolmente a qualsiasi scrutinio costituzionale, dato che le finalità di “tutela della concorrenza” dichiarate anche nel dl. Cresci Italia, da un lato, e il ruolo parimenti inequivoco di (nuovo) principio fondamentale che il comma 8 assume nell’ambito della “tutela della salute”, dall’altro, sembrano porre la disposizione sugli orari delle farmacie al riparo da qualunque censura di provenienza regionale.

Resta ora da verificare, e non solo per completezza, se una liberalizzazione assoluta come questa non possa rivelarsi seriamente pregiudizievole dell’efficienza del servizio farmaceutico e porsi così in sensibile contrasto con l’art. 32 della Cost. (che “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo – ed è il solo che la Costituzione definisca così – e interesse della collettività”) e anche, ove tale scelta del legislatore non sia ritenuta priva di profili di irragionevolezza, con l’art. 3.

Abbiamo or ora riassunto alcune delle notazioni con cui negli anni la Corte ha spiegato la legittimità costituzionale del (precedente) nostro sistema farmacia, ribadendo in varie circostanze – per quanto qui può interessare – che “nella non irragionevole valutazione del legislatore” c’è uno stretto collegamento, muovendosi nella stessa direzione, tra il contingentamento delle farmacie (la cui finalità concreta è quella di “assicurare ai cittadini la continuità territoriale e temporale del servizio ed agli esercenti un determinato bacino d’utenza”) e un assetto programmato di orari e turni obbligatori degli esercizi, considerato che “l’accentuazione di una forma di concorrenza tra le farmacie basata sul prolungamento degli orari di chiusura potrebbe contribuire alla scomparsa degli esercizi minori e così alterare quella che viene comunemente chiamata la rete capillare delle farmacie”.

Ma con l’art. 11 del dl. Cresci Italia il legislatore statale, pur confermando alcuni tratti ancora fondamentali dell’intelaiatura “giolittiana” (che compie ora cento anni e, chissà, potrebbero essere forse troppi anche per un sistema di grandissima efficienza come il nostro….), mostra in termini eloquenti di aver modificato o addirittura rovesciato altre sue opzioni precedenti pur fino a ieri reiteratamente e fermamente difese sul fronte sia interno che europeo, e di ritenere oggi, specificamente, che la concorrenza – almeno sotto il duplice aspetto della liberalizzazione degli “orari diversi da quelli obbligatori” e dei “prezzi di tutti i tipi di farmaci”, come aggiunge il secondo periodo dell’implacabile comma 8 – possa/debba essere adeguatamente accentuata anche tra le farmacie, essendo questa per il legislatore di questi anni una misura anch’essa funzionale allo sviluppo e dunque alla crescita economica, che è l’interesse pubblico addirittura sovranazionale ritenuto in questo momento storico di massima priorità.

Senonché, ecco le domande, tali nuove valutazioni (in ordine agli orari degli esercizi e ai prezzi dei farmaci) – astrattamente idonee a favorire i consumatori (per la più robusta “continuità territoriale e temporale del servizio” che può conseguirne oltre che per il possibile minor costo di acquisizione del medicinale) ma altresì a incidere, tanto però positivamente come negativamente, sul “bacino d’utenza” degli “esercenti” (al punto da poter determinare persino la scomparsa di quelli “minori”) – non finiscono forse per risolversi in pregiudizi almeno potenziali per il servizio pubblico reso dalla complessiva “rete capillare delle farmacie”? e, in tal caso, si tratta di pregiudizi che rendono il sistema farmaceutico che ne deriva ancora rispondente all’art. 32 Cost. e quindi, in ultima analisi, “non irragionevoli” le scelte del legislatore?

Il vero è, come abbiamo osservato in altre occasioni, che – trattandosi in realtà di opzioni della classe dirigente e dell’indirizzo politico di cui questa può essere portatrice (sappiamo quali attese e quali timori caratterizzino proprio in questa direzione l’imminente tornata elettorale…) – non sono scelte facilmente censurabili specie quando esse siano ordinate le une alle altre e si appalesino perfettamente declinabili, come lo sono queste, nel quadro d’insieme dei provvedimenti dell’ “emergenza”; è lecito pertanto pensare che anche l’odierno assetto normativo del settore sia ritenuto pienamente legittimo sul piano costituzionale (oltre che su quello comunitario), come del resto era stato giudicato anche quello immediatamente previgente e come probabilmente si rivelerebbero i vari altri che, con sfumature magari diverse, potrebbero ipoteticamente configurarsi.

Con la liberalizzazione degli orari, allora, le farmacie devono definitivamente (perché è una strada naturalmente senza ritorno) imparare a convivere, e però è quanto ci pare stia perlopiù avvenendo e senza neppure i grandissimi sussulti che si potevano temere un anno fa; forse qualche titolare (ci viene in mente il mittente del quesito cui abbiamo dedicato la Sediva News del 05/10/2011: “Orari e turni delle farmacie in Campania”, che rileggendola parrebbe scritta in questi giorni…) avrà dato o darà libero sfogo alle sue irresistibili esigenze imprenditoriali, lavorando anche 24 ore al giorno per 365 giorni, ma le farmacie – pur se non tutte e non dappertutto, s’intende – si stanno muovendo nei fatti con sufficiente equilibrio optando, anche nella scelta degli orari “liberi”, per soluzioni non soltanto sostenibili economicamente e compatibili con le dimensioni aziendali, ma anche tendenzialmente adeguate alla domanda di farmaci degli utenti (che può variare secondo le stagioni, le fasce orarie, gli usi della zona, ecc.) e comunque indirizzate generalmente all’incremento delle offerte individuali.

Avremmo chiuso anche queste note, come altre in precedenza sullo stesso tema, ricordando che anche l’estremo rigore (comunque ampiamente giustificato dal testo della disposizione liberalizzatrice) con cui il Consiglio di Stato interpreta il comma 8 nella già citata ordinanza dell’1/9/2012 – azzerando letteralmente qualsiasi potestà legislativa e provvedimentale della Regione che possa pur latamente incidere sulla libera scelta delle farmacie in ordine agli orari “diversi da quelli obbligatori” – renderebbe opportuno che le singole opzioni non siano sempre lasciate al caso o agli umori di giornata, e vengano invece talora riversate, ricorrendone certi presupposti anche di “comunanza” di “bacini di utenza”, in appropriate intese tra loro.

Quanto alla fine sostanza di questi accordi tutti sanno di che si tratta, e quindi sanno anche che sono accordi che agevolano certo l’esercizio delle farmacie che vi aderiscono, ma da cui possono derivare benefici anche agli utenti e al servizio pubblico nel suo complesso che può infatti guadagnarne quantomeno in termini di ampiezza e stabilità; se può infatti essere utile per il consumatore conoscere gli orari di apertura del bar sotto casa, lo è certamente di più – per l’altissimo rilievo (non per caso anche in ambito costituzionale) degli interessi in gioco – sapere anticipatamente e con certezza se la farmacia dietro l’angolo questa sera deve osservare, proprio per effetto delle sue intese con le farmacie viciniori, un turno supplementare di apertura, o se è invece necessario, nel dubbio, rivolgersi senz’altro a quella aperta per turno obbligatorio.

Ma evidentemente anche noi eravamo dell’idea che a queste intese potesse riconoscersi sotto il profilo giuridico efficacia vincolante per i partecipanti, se non altro perché espressione anch’esse di un diritto d’impresa, di una libera scelta (quella stessa che il CdS vuole tutelare al più alto livello) e quindi, in generale, di un effettivo esercizio di facoltà loro derivanti proprio dal comma 8; al più avremmo pensato potesse essere il caso, almeno su alcuni contenuti, chiedere una verifica anche preventiva dell’Antitrust guardando in particolare all’insidioso disposto dell’art. 2 della l. 287/90.

Non avevamo invece tenuto conto che sul comma 8 mancava ancora all’appello l’opinione dell’altro massimo organo di giustizia, cioè della Suprema Corte, visto che il Consiglio di Stato aveva detto quel che aveva detto (con una semplice ordinanza, è vero, ma una volta tanto perfettamente esaustiva e destinata a tradursi ben presto in sentenza) e che la Corte Costituzionale, almeno secondo noi, avrebbe ben poco da aggiungere alle ampie notazioni già espresse nelle tante decisioni di questi anni e, da ultimo, in quella qui commentata sulla liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali.

La lacuna è stata ora colmata dalla sentenza n. 3080 dell’8/2/2013 della III Sez. Civ. della Cassazione, riguardante un accordo tra farmacie di Caserta, sulla quale in questi giorni stanno affiorando nei vari siti internet considerazioni che, almeno da una prima lettura, ci pare si discostino un po’ troppo (e anche per aspetti importanti) tra loro, come se questa decisione si prestasse a chissà quante interpretazioni diverse o offrisse chissà quante vie di fuga.

C’è, ad esempio:

  • chi fa notare che la fattispecie casertana è sorta anteriormente al dl. Cresci Italia: ma la disposizione regionale (art. 34 della l.r. Campania 1/07), vigente in quel momento e applicabile dunque a quella vicenda, era anch’essa di liberalizzazione assoluta degli orari delle farmacie (anzi il suo testo era in tal senso ancor più chiaro del comma 8 dell’art. 11: “fermo restando l’obbligo di garantire il numero di farmacie di servizio, le farmacie non di turno hanno la facoltà di restare aperte”), e perciò – tanto per eliminare almeno qualche dubbio – quel che la Cassazione ha detto con riguardo alla norma campana non può che valere pienamente anche per quella statale;
  • chi rileva che la decisione non amplia e non interpreta in senso estensivo il dettato del comma 8: non si vede però come i nostri Ermellini avrebbero potuto ampliare e/o interpretare estensivamente una disposizione cui è pacifico dover riconoscere sin dall’inizio un’area applicativa… massima;
  • chi pensa di circoscrivere l’ambito anche di lettura della sentenza al provvedimento disciplinare e quindi agli aspetti deontologici dei fatti: francamente vorremmo anche noi che fosse così, ma, come verificheremo tra un momento, gli assunti della Cassazione (che sono anche picconate sull’autonomia privata) risolvono bensì il caso specifico di provenienza ordinistica ma i loro effetti temiamo siano destinati ad andare ben oltre;
  • chi lamenta la mancata valutazione da parte della Suprema Corte del provvedimento dell’Asl che aveva recepito quell’accordo tra farmacie: senonché, considerato il ruolo puramente ricettizio dell’accordo, era semmai il Tar a doversene occupare (che infatti se ne era già occupato, annullandolo), mentre la Cassazione – vista la vicenda dedotta nel giudizio – avrebbe potuto fare solo quel che ha fatto, annullare cioè la sanzione disciplinare dell’Ordine dei farmacisti di Caserta e cassare la decisione della Cceps (disapplicando inoltre da par suo, se fosse stato necessario, il provvedimento dell’Asl);
  • chi si compiace della sentenza perché, superando la tradizionale dicotomia tra servizio e impresa che i farmacisti solitamente avvertono, avrebbe per ciò stesso tutelato anche la loro veste di concessionari di un servizio pubblico i quali però, proprio per questo, non possono pensare di regolarlo da soli e come meglio credono: su quest’ultimo rilievo siamo d’accordo, ma la decisione non sembra preoccuparsi più di tanto della farmacia-servizio pubblico (che comunque la Cassazione sembra innestare nel suo percorso argomentativo soprattutto per escluderne rilievi significativi nella decisione assunta), quanto piuttosto della farmacia-impresa, operante – questa, più o meno, un’importante affermazione della Corte – in un settore che deve anch’esso ormai soggiacere, secondo i principi dell’“odierno” ordinamento giuridico, all’“effettività della concorrenza” (ma più che altro, a noi pare, al suo autentico strapotere);
  • chi, infine, ritiene vi sia ancora spazio per accordi di categoria, del tipo di quelli ipotizzati qualche tempo fa in un parere dell’Avvocatura dello Stato del distretto siciliano, volti a coordinare sul territorio le libere iniziative di ciascun titolare, e pertanto non granché dissimili da quello casertano: non sappiamo però se, conoscendo la sentenza, l’avvocato distrettuale avrebbe scritto queste stesse cose, perché, come vedremo meglio, sono proprio quelle “libere iniziative” delle farmacie che la Cassazione sembra bocciare senza appello.

Riferito brevemente quanto si è rilevato dal web su questa decisione, è ora il momento di dar conto adeguatamente delle tesi della Suprema Corte tentando anche di capire se e quali siano gli ambiti d’incertezza – posto che ve ne siano – su cui ragionare, e ricordando che, come accennato, il fatto deciso risale al periodo (2007-2010) in cui era stata in vigore la ricordata norma regionale di piena liberalizzazione degli orari delle farmacie (anche se poi il legislatore campano – illuminato e “progressista” ma un po’ schizofrenico e in definitiva non molto affidabile – aveva provveduto in rapida successione dapprima a sostituire con orari obbligatori ampliati, poi a ripristinare una seconda volta, per giungere infine ad un orario settimanale con un tetto di 60 ore: ne abbiamo parlato dettagliatamente nella già citata Sediva news del 05/10/2011).

In sintesi, dunque, gli assunti della Cassazione sono questi: le tre farmacie, X, Y e Z, che ad esempio sono in esercizio a Roma nelle vicinanze di Piazza Pitagora, non possono legittimamente (rectius: efficacemente) obbligarsi l’una nei confronti delle altre – stiamo parlando, è ovvio, dei soli “orari diversi da quelli obbligatori” – ad osservare precisi orari di apertura (ma fatalmente anche, e qui sta forse il problema di più difficile soluzione, precisi orari di chiusura) convenendo, poniamo, che X sia tenuto a svolgere il servizio soltanto tra le ore 20.00 e le ore 22.00 di tutti i giorni dispari, Y soltanto quello tra le ore 20.00 e le ore 22.00 di tutti i giorni pari, e Z soltanto il servizio dalle ore 9.00 alle ore 22.00 della domenica, e che perciò, sempre fatti salvi i turni, le tre farmacie non possano tenere aperto l’esercizio in nessun’altra ora diversa da quelle obbligatorie.

Un accordo con questi contenuti, infatti, configurerebbe (sul che bisogna senz’altro convenire) un negozio atipico; pertanto, come rammenta giustamente la sentenza, affinché esso possa ritenersi giuridicamente produttivo di effetti, e quindi vincolante per i soggetti che vi partecipano, è necessario che, secondo il principio generale di cui all’art. 1322 del cod.civ., sia diretto a realizzare interessi (la c.d. funzione economico-sociale del negozio, cioè la causa) che – all’esito di una valutazione da condurre sulla base della complessiva disciplina legislativa e dei principi che reggono l’ordinamento giuridico – si rivelino meritevoli di tutela (abbiamo così ridotto all’osso, per ragioni intuibili, il significato e la portata di una disposizione del codice civile da sempre molto controversa e dibattuta).

E siamo subito al punto, perché, dopo un dettagliato excursus:

  • sulla nozione odierna di “ordinamento giuridico”, che diventa talmente esteso da sembrare del tutto indefinibile, se non infinito;
  • sull’accezione di “tutela della concorrenza”, che assume inevitabilmente un ruolo fondamentale nella sentenza, anche se il tanto spazio che la Cassazione vi dedica ricalca quasi pedissequamente quello delineato nelle sue ultime pronunce, come si è visto, dalla Corte Costituzionale;
  • sull’“inevitabile (?) processo di marginalizzazione” (sic!) delle farmacie di modeste dimensioni, che qui – ma sembra un banale infortunio della fase puramente descrittiva della sentenza – diventano drogherie o panetterie che la grande distribuzione può impunemente spazzar via…;
  • sull’opportunità che i titolari degli esercizi articolino la propria offerta anche in termini di apertura al pubblico “rendendola più congeniale (?) alle esigenze dei consumatori ed evitando così che il bacino d’utenza di ciascuna farmacia venga a cristallizzarsi artificiosamente” (sic!);
  • sull’ingresso recente nel mercato delle parafarmacie (tanto perché all’appello non manchi nulla e le farmacie si preoccupino di ricercare i veri loro concorrenti…), che renderebbe “ancora più pressante la necessità per queste ultime (le farmacie) di disporre di una maggiore libertà nel compimento delle proprie scelte commerciali”;
  • e su altri profili più o meno conferenti rispetto alla questione centrale, anche se la penna prende evidentemente troppo la mano all’estensore…;

la Suprema Corte conclude infine per la non meritevolezza (di tutela) della finalità perseguita dalle farmacie casertane partecipanti all’accordo, perché meramente economica e personale di queste ultime e soprattutto “siccome idonea a vanificare il perseguimento dei principi generali dell’ordinamento di effettività della concorrenza anche nel settore farmaceutico e quindi a perturbarne o sminuirne la maggiore ampiezza di accesso possibile per l’indifferenziato pubblico dei consumatori”.

Secondo tali conclusioni, il pensiero della Corte parrebbe allora il seguente: l’ordinamento giuridico, da assumere nel suo più ampio significato di piattaforma normativa che comprende anche le successive (al codice civile) disposizioni di rango costituzionale e sovranazionale, esprime oggi – anche nel mercato di vendita al dettaglio dei farmaci – esigenze di effettiva realizzazione di un assetto pienamente concorrenziale tra le imprese (le farmacie) e dunque non può consentire neppure alla (loro) autonomia privata di regolamentare pattiziamente i rispettivi flussi di clientela.

Per la Cassazione, infatti, un accordo del genere impedisce ex se (sia pur soltanto puramente in astratto, ma è quel che basta) alla concorrenza – appunto tra le imprese – di esplicarsi ai massimi livelli cui l’ordinamento (in questo specifico caso con la disposizione liberalizzatrice campana, e più in generale con la norma statale del comma 8 dell’art. 11) ha voluto ammetterle (ma dovremmo dire: “astringerle”), perturbando però in tal modo anche “la maggior ampiezza di accesso possibile per l’indifferenziato pubblico dei consumatori”.

E’ come dire, cioè, che le farmacie potrebbero anche articolare tra loro un’intesa che preveda, tanto per esemplificare, la quintuplicazione dei turni o il raddoppio degli orari obbligatori, perciò con sicuro beneficio anche per l’assistenza farmaceutica e per le stesse tasche dei consumatori, e nondimeno resterebbe pur sempre un’intesa non meritevole di tutela, perché anch’essa, secondo questa tesi, si porrebbe d’ostacolo alla massima esplicazione della concorrenza tra loro (fino al tetto teorico concepibile, evidentemente, di 24 ore di apertura al giorno per tutti i giorni e per tutte le farmacie!).

Anche un accordo come quello ora ipotizzato si rivelerebbe insomma – in applicazione dell’art. 1322 cod. civ., e quindi per la detta sua non meritevolezza – giuridicamente inefficace e conseguentemente inidoneo a far nascere un qualunque diritto od obbligo tra i partecipi: di qui, tornando alla sentenza, l’inconfigurabilità, a carico del farmacista casertano che si era reso inadempiente all’accordo con i colleghi, di una censura per concorrenza sleale e la connessa illegittimità del provvedimento disciplinare irrogatogli.

Pertanto, se pure alcune enunciazioni di passaggio cui ricorre la Cassazione (talora comunque apodittiche e/o indizi di una certa disinformazione, se non proprio di sciatteria espositiva) non possono forse di per sé impensierire perché notazioni soprattutto incidentali, deve invece naturalmente preoccupare per tante ragioni questo giudizio conclusivo della Suprema Corte di non meritevolezza di tutela e di inefficacia di qualunque intesa tra titolari di farmacia che preveda e regoli, anche indirettamente, “turni” di chiusura dei relativi esercizi in “orari diversi da quelli obbligatori”.

È infatti un assunto, almeno per come la Corte lo formula, che, oltre a mortificare inopinatamente l’autonomia privata (che pure continua a rivestire un ruolo centrale almeno nel nostro ordinamento civilistico), sembra prescindere da qualsiasi verifica (che l’art. 1322 del cod. civ. dovrebbe pur consentire) dei riflessi che nel concreto un accordo tra farmacie potrebbe avere per “per l’indifferenziato pubblico dei consumatori” (la categoria che sta a cuore alla Cassazione), cui del resto certe intese potrebbero giovare molto più che un’astratta libertà incondizionata dei titolari di farmacia di allungare o accorciare selvaggiamente gli orari di apertura degli esercizi.

Si potrebbe forse ideare qualcosa coordinando tra loro i soli orari di apertura delle farmacie, che diventerebbero in tal caso obbligatori perché in questa evenienza l’accordo sarebbe forse vincolante per i partecipi, ma le difficoltà insite nella necessità di dover tacere sui tanti altri aspetti che andrebbero invece disciplinati potrebbero forse trasformare il “negozio atipico” in una sorta di… colabrodo.

In conclusione, se non sono ricavabili dalla sentenza aspetti meno preclusivi (che noi non siamo però riusciti a cogliere), anche le migliori intenzioni rischiano di essere frustrate da questa decisione e in ogni caso diventa molto complicato persino il lavoro organizzativo delle rappresentanze locali dei titolari di farmacia.

E però, che le intese tra le farmacie su orari e turni di apertura e/o chiusura “non obbligatoria” possano essere nei fatti – se la Cassazione ha ragione – poco o nulla azionabili in sede giudiziaria (oltreché, come abbiamo visto, disciplinare), non vuol dire che non siano parimenti avvertite come vincolanti, quindi da adempiere esattamente, dalle farmacie che vi partecipino.

In fin dei conti, tra i capisaldi non espressi del primo ordinamento giuridico che sia stato progettato occupava un posto di massimo rilievo anche quello riassunto nell’antico broccardo “pacta sunt servanda”, che l’uomo uti socius continua però generalmente a sentire come una regola del vivere comune da osservare irrinunciabilmente, e prescindendo dalla previsione di sanzioni o simili per il caso di inadempimento.

E questo potrebbe forse valere a maggior ragione per un professionista sol perché tale, e certamente ancor più quando egli sia il titolare di un’impresa che, come la farmacia, sta vivendo una tremenda fase di transizione in cui l’organizzazione aziendale deve mirare quanto più possibile alla c.d. ottimizzazione, che però passa naturalmente anche per un’attenta analisi del costo complessivo di “un’ora in più” o di “un’ora in meno” di apertura al pubblico dell’esercizio e dei tanti altri aspetti di gestione che vi sono collegati.

Per le farmacie, perciò, comprese le tre ubicate nei pressi del nostro Studio, può quindi valere la pena tentare di sottrarsi reciprocamente agli orari “selvaggi” cui accennavamo poco fa, salvaguardando la salute delle aziende, ma migliorando anche almeno la “quantità” del servizio reso.

Può essere un lavoro duro e meticoloso, ma i dirigenti sindacali (più che quelli professionali) di categoria possono contribuire parecchio alla definizione – quale rimedio di ultima istanza, evidentemente – di accordi volti in questa duplice direzione, senza però perdere mai di vista l’Antitrust e la sua l. 287/90 (ricordiamo tutti le sanzioni irrogate qualche anno fa ad un’associazione abruzzese); quindi, adelante ma sempre… con juicio.

Avv. Gustavo Bacigalupo

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