oneri dilazione grossista farmaciaUn farmacista denuncia quello che viene definito «un meccanismo pericoloso: alcuni distributori smontano i factoring attuali, sostituendoli con analoghi factoring grossista farmacia, nei quali però l’interesse di dilazione viene calcolato dal grossista stesso e messo in fattura. Ad esempio il 4,5% annuo, mentre in questo momento il tasso di factoring è compreso tra 2,6 e 2,9% annuo. Leggendo il bilancio dell’azienda grossista, mi pare che questa “pratica” le consenta di chiudere l’esercizio in utile. Ma si tratta di una condotta corretta? Può il distributore di farmaci sostituirsi in pratica ad un intermediatore finanziario?». La risposta arriva da Roberto Santori, commercialista dello studio Bacigalupo-Lucidi, che spiega come a governare il tutto siano le regole del mercato: «In tutti (o quasi) i settori merceologici la dilazione di pagamento che il fornitore concede al proprio cliente prevede un corrispondente onere, che può essere esplicitato sotto forma di addebito di interessi o implicitato sotto forma di minor sconto o margine, come spesso avviene nel mondo dei farmaci.
Il tasso di interesse del 4,5% annuo corrisponde a un onere di dilazione mensile dello 0,37%, tutto sommato neppure così caro!» «Molti grossisti – prosegue il commercialista – anche di rilevanza internazionale, praticano frequentemente lo 0,5% mensile che ovviamente corrisponde niente di meno che a un 6% (e più) annuo. Naturalmente, le aziende lucrano su questa gestione finanziaria perché quasi sempre riescono a “pagare” il denaro meno di quanto lo “rivendono”; così facendo chiudono spesso in utile anche bilanci che, a livello di risultato operativo, evidenzierebbero una perdita. Ma questa è una vecchia storia, nata nel mondo della grande distribuzione organizzata alcuni decenni fa, nell’epoca cioè in cui i tassi di interesse viaggiavano a due cifre: i supermercati e gli ipermercati abbassavano i prezzi di vendita degli articoli, riducendo così, o addirittura azzerando, i loro margini allo scopo di aumentare i fatturati (che venivano incassati in contanti dai consumatori) e “rivendere” pertanto il denaro alle banche a un buon tasso di interesse, sfruttando la dilazione di pagamento che si erano fatti concedere dai fornitori, in virtù della loro posizione dominante di mercato». Una scelta strategica legittima, conclude Santori, «anche se discutibile».

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