indennita-di-residenzaSono titolare dell’unica farmacia del paese che conta complessivamente poco più di 3500 abitanti, ma la popolazione della frazione dove è ubicato l’esercizio ne ha circa 1900, mentre nell’antico borgo capoluogo sono rimaste 300 persone. Il mio diritto all’indennità di residenza dovrebbe essere indiscutibile, eppure la Asl lo contesta regolarmente, nonostante, da quel che ho letto, il diverso parere dei Tar.

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L’impressione è che Lei intenda riferirsi non tanto a decisioni di Tar, ma piuttosto all’orientamento del Consiglio di Stato che in realtà sembra ormai perfettamente in linea con le Sue ragioni, come ribadisce l’ultima sentenza in materia a noi nota del Supremo consesso amministrativo.
Accogliendo infatti l’appello avverso Tar Toscana n. 3773/2004, il CdS, con decisione n. 4793 del 10 settembre 2012 (risolvendo pertanto la questione soltanto dopo lunghi anni di attesa del titolare di farmacia interessato…), ha riaffermato una volta di più il diritto all’indennità di residenza – con tutto quel che di assai più rilevante consegue, in particolare, sul piano del minore sconto praticabile al SSN (e anche della legittimazione a partecipare ora ai concorsi straordinari) – della farmacia unica (come la Sua) di un comune con popolazione complessiva pur superiore a 3000 abitanti (ma, s’intende, inferiore a 5000: nel caso deciso erano 4571, nel Suo “poco più di 3500”), e però ubicata in una località con popolazione inferiore (in quella fattispecie si trattava del capoluogo del comune con 2015 abitanti, nella Sua di una frazione con “circa 1900”).
Anche nella vicenda decisa dal Consiglio di Stato l’Ausl aveva negato il diritto all’indennità tenendo conto – appunto perché farmacia unica – dell’intera popolazione comunale, perché ritenuta quale effettivo “bacino di utenza” dell’esercizio, una tesi perciò fatta propria dal Tar nel solco tracciato dalla Corte di Cassazione per la prima volta con la sent. n. 2425 del 2 marzo 1995 e infine con quella delle Sez. Unite n. 488 del 20 febbraio 2008.
Aggiungiamo che in quest’ultima decisione la Suprema Corte ha tentato anche di perfezionare i suoi assunti introducendo una distinzione, molto macchinosa e quindi di non agevole applicazione, tra il caso in cui una parte della popolazione del territorio sia raggruppata in insediamenti o agglomerati diversi da quello in cui la farmacia è in esercizio, ma anch’essi dotati di una base pur minima di strutture sociali, e il caso in cui invece tali agglomerati autonomi non esistano, e concludendo che solo in questa seconda ipotesi si deve tener conto – ai fini della spettanza e/o della determinazione dell’indennità di residenza – anche della popolazione dislocata nelle altre località del comune.
Ora, è curioso rilevare che i numerosi precedenti in materia, quasi tutti toscani e abbastanza recenti, hanno visto il Tar non sempre d’accordo neppure con se stesso, perché in altre occasioni le sue pronunce sono state di segno contrario alla linea prescelta nella decisione poi annullata dalla ricordata sentenza del CdS, e non sempre fondando la diversità di giudizio su quel distinguo della Cassazione.
Come accennato, però, è ormai da qualche tempo unanime la risposta del Consiglio di Stato che infatti, una volta prese le distanze dall’orientamento della Suprema Corte, non ha più mostrato incertezze affermando per lo più la propria giurisdizione (questione comunque complessa ed esorbitante dai limiti di queste note) e soprattutto ribadendo ripetutamente – la pronuncia cui ci stiamo riferendo, ripetiamo, è soltanto l’ultima in ordine cronologico – “l’irrilevanza del bacino d’utenza dell’esercizio farmaceutico” ai fini dell’applicazione della normativa di riferimento (l. 221/68 e l. 40/73), perché “l’unico parametro da utilizzare” è quello della “popolazione residente” nella località in cui la farmacia è effettivamente ubicata, “anche al fine di evitare di far entrare nel circolo ermeneutico il concetto di “popolazione prevista nella pianta organica”, che l’articolo unico della citata legge n. 40/1973 ha inteso espressamente escludere in relazione all’ipotesi in esame”.
Quindi, “per poter qualificare una farmacia come “rurale sussidiata”, va accertata la consistenza della sola popolazione residente nel ” luogo” abitato in cui è situato l’esercizio farmaceutico, senza che possa prendersi in considerazione la rimanente parte della popolazione collocata nelle altre zone abitate del comune o della frazione, pur se formalmente ricomprese nella pianta organica della sede farmaceutica”, cosicché “una diversa ricostruzione esegetica, supportata anche dalla giurisprudenza civile, non può condividersi”.
Come si vede, siamo in presenza di una delle tante partite a scacchi quasi di principio tra i due supremi giudici (e della quale abbiamo peraltro dato conto più volte in questa Rubrica), e il contrasto non sembra qui destinato a comporsi in tempi brevi. Aggiungiamo anche per completezza che la questione risolta dal Consiglio di Stato, come del resto anche nella gran parte degli altri casi decisi dalla Cassazione o dallo stesso CdS, non riguardava la “ruralità” della farmacia, dato che, contando il comune non più di 5000 abitanti, la sua “ruralità” era comunque indiscussa; controverso era invece anche in quell’occasione il diritto o meno all’indennità di residenza del titolare, e perciò la natura o meno – con l’enorme importanza che riveste l’opzione per l’uno o l’altro dei due corni del dilemma – di “farmacia rurale sussidiata”.
Una questione che il CdS risolve nei termini che abbiamo illustrato, suggerendo così – in pratica anche a Lei – il percorso anche giudiziario da intraprendere.

(gustavo bacigalupo)

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