farmaci equivalentiNon può ritenersi conferente ad inficiare la legittima adozione, da parte AIFA, della revoca di un farmaco (nella specie generico) la dimostrazione della sua efficacia terapeutica sulla base di studi non prodotti all’atto della presentazione della domanda di registrazione. L ‘AIFA, nella revoca di un medicinale, non esercita in modo formalistico i suoi poteri di vigilanza ma interviene per impedire l’ulteriore commercializzazione di un farmaco, già immesso in commercio, privo di uno dei presupposti fondamentali per la sua vendita e quindi potenzialmente pericoloso per la salute. Gli eventuali diversi studi clinici possono legittimare la richiesta di una nuova registrazione ma non integrare quella ritenuta non conforme. Questa è l’opinione espressa nelle sentenze N. 1631; 1632 e 1633 emesse il 7 aprile scorso, dal Consiglio di Stato che hanno respinto, dando ragione all’autorità regolatoria, i ricorsi avverso le sentenze del Tar Lazio, presentati da ben tre diverse aziende di farmaci generici contro il provvedimento di revoca di tre specialità di Omeprazolo. La revoca dei farmaci avvenuta nel dicembre 2009 aveva coinvolto 12 prodotti della stessa molecola prodotte da sette diverse aziende. Né può avere alcun rilievo, afferma il Consiglio di Stato, la circostanza che, quando gli studi di bioequivalenza furono eseguiti il laboratorio fosse autorizzato. Quel che rileva è che gli studi fossero inaffidabili e quindi non in grado di costituire un valido supporto all’ autorizzazione.
Nella documentazione presentata per dimostrare la sussistenza del requisito della bioequivalenza con il medicinale di riferimento, tutte le aziende avevano prodotto gli studi effettuati presso il Centro di Ricerca Clinica (C.R.C.) Ce.S.I. di Chieti. A seguito di accertamenti ispettivi, l’AIFA disponeva la revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci sulla base del fatto che le sperimentazioni presentate risultavano difformi alle linee guida di buona pratica clinica fissati dalla normativa comunitaria di bioequivalenza. Le aziende chiesero, senza riuscirvi, una rivalutazione del provvedimento presentando nuovi studi condotti favorevolmente in Irlanda presso la Clinica Shandon. Dagli accertamenti condotti presso il CESI, anche a seguito di una segnalazione pervenuta dall’Ispettorato Svizzero, erano, emerse, negli studi di bioequivalenza, ben 21 deviazioni critiche e 11 maggiori ai principi ed alle Linee guida. Si ricorda che per i farmaci generici lo studio di bioequivalenza, costituisce la prova che il farmaco può essere commercializzato avendo pari efficacia e sicurezza del medicinale al quale è scaduto il brevetto.

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Farmaci equivalenti e studi irregolari, leggi la sentenza 1631/2014

1.- xxx , aveva ottenuto nel 2008 dall’Agenzia Italiana del Farmaco, di seguito AIFA, l’autorizzazione all’immissione in commercio del medicinale ” 1.- xxx , di seguito XXX, aveva ottenuto nel 2008 dall’Agenzia Italiana del Farmaco, di seguito AIFA, l’autorizzazione all’immissione in commercio del medicinale “xxxx’, a base di omeprazolo, nelle confezioni xxx 14 capsule rigide da 10 o da 20 MG.
Nella documentazione presentata per dimostrare la sussistenza del requisito della bioequivalenza con il medicinale di riferimento, l’Istituto XXX aveva prodotto gli studi effettuati presso il Centro di Ricerca Clinica (C.R.C.) Ce.S.I. Fondazione Università “G. D’Annunzio” di Chieti – Centro studi per l’invecchiamento, di seguito CESI.
2.- A seguito di accertamenti ispettivi svolti presso il CESI di Chieti emergeva tuttavia che gli studi effettuati non erano stati condotti in conformità alle Linee guida delle norme di buona pratica clinica. In conseguenza l’AIFA, con provvedimento in data 1 dicembre 2009 disponeva la revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio del suddetto farmaco, ai sensi dell’art. 141, comma 3, del d. lgs. n. 219 del 2006.
3.- L’Istituto xxx presentava opposizione al provvedimento di revoca, ai sensi dell’art. 141, comma 4, del citato del d. lgs. n. 219 del 2006, sostenendo che altri studi di bioequivalenza erano comunque stati condotti favorevolmente in Irlanda presso la Clinica Shandon.
Ma l’AIFA, con determinazione in data 14 aprile 2011, ha rigettato l’opposizione proposta sostenendo, sulla base del parere espresso dall’apposita Commissione Tecnico Scientifica, nelle sedute del 2122 dicembre 2010 e 12 marzo 2011, che non è possibile rivalutare il dossier, a suo tempo presentato, sulla base di studi non presenti nel dossier originale che non possono essere presi in considerazione in sostituzione dello studio inizialmente presentato.
4.- L’Istituto xxx ha impugnato tale provvedimento davanti al T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma che, con sentenza della Sezione III Quater, n. 1911 del 21 febbraio 2013, ha respinto il ricorso.
L’Istituto xxxx ha quindi appellato l’indicata sentenza sostenendone l’erroneità sotto diversi profili.
5.- Al riguardo, si deve preliminarmente ricordare che, per il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) di un farmaco, da parte dell’AIFA, autorità regolatoria, occorre, ai sensi dell’art. 8 del d. lgs. n. 219 del 2006, la presentazione di un dossier contenente tutti gli elementi ritenuti necessari (denominazione del medicinale, la sua composizione qualitativa e quantitativa, la descrizione del metodo di fabbricazione, le sue indicazioni terapeutiche e le controindicazioni e reazioni sperimentali, i risultati delle prove farmaceutiche, chimicofisiche, biologiche o microbiologiche etc.).
Per i medicinali generici tale disposizione si integra con quella dettata dall’art. 10, comma 1, dello stesso d. lgs. n. 219 del 2006, secondo cui il richiedente non è tenuto a fornire i risultati delle prove precliniche e delle sperimentazioni cliniche se può dimostrare che il farmaco è un medicinale generico di un medicinale di riferimento che è autorizzato o è stato autorizzato, a norma del precedente articolo 6, da almeno otto anni in Italia o in altro Stato comunitario. Il richiedente è peraltro tenuto a dimostrare, nel suo dossier, la bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità.
6.- L’art. 141 del d. lgs. n. 219 del 2006, riconosce poi all’AIFA, nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza, il potere di revocare un’autorizzazione già rilasciata non solo quando il medicinale risulta nocivo o non permette di ottenere l’effetto terapeutico per il quale è stato autorizzato o non ha la composizione qualitativa e quantitativa dichiarata (comma 2) ma anche quando (comma 3) “si riscontra che le informazioni presenti nel fascicolo a norma dell’articolo 8 o degli articoli 10, 11, 12, 13 e 14 sono errate o non sono state modificate a norma dell’articolo 33, o quando non sono stati eseguiti i controlli sul prodotto finito, o sui componenti e sui prodotti intermedi della produzione, in base ai metodi adottati per l’AIC, nonché nei casi in cui le sperimentazioni presentate a supporto della richiesta di AIC siano state condotte senza rispettare i principi e le linee guida delle norme di buona pratica clinica fissati dalla normativa comunitaria”.
7.- Facendo applicazione di tale ultima disposizione l’AIFA ha disposto la revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio del medicinale generico prodotto dall’appellante (a base di omeprazolo) avendo rilevato, a seguito di accertamenti ispettivi, che gli studi di bioequivalenza effettuati presso il CESI di Chieti non erano stati condotti in conformità alle Linee guida delle norme di buona pratica clinica e non potevano ritenersi quindi attendibili.
Dagli accertamenti condotti presso il CESI, anche a seguito di una segnalazione pervenuta dall’Ispettorato svizzero, erano, infatti, emerse, nello studio di bioequivalenza sul farmaco in questione, ben 21 deviazioni critiche e 11 maggiori ai principi ed alle Linee guida delle norme di buona pratica clinica, con la conseguenza che i dati relativi alle sperimentazioni di bioequivalenza dell’omeprazolo effettuate presso il predetto Centro non erano affidabili.
7.1.- L’inattendibilità degli studi condotti aveva fatto quindi venir meno uno dei presupposti necessari ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco in questione. E, come si è già ricordato, per i farmaci generici lo studio di bioequivalenza costituisce la prova che il farmaco può essere commercializzato avendo pari efficacia e sicurezza del medicinale già commercializzato.
8.- Tutto ciò chiarito, l’appello non può essere accolto.
9.- Non può, in primo luogo, dubitarsi della legittimità del provvedimento con il quale è stata disposta la revoca dell’AIC, essendo venuto meno, come si è detto, un presupposto necessario ed essenziale per il rilascio (e la permanente vigenza) dell’autorizzazione.
L’AIFA è, quindi, intervenuta per impedire l’ulteriore commercializzazione di un farmaco, già immesso in commercio, che era risultato privo di uno dei presupposti fondamentali per la sua vendita e quindi potenzialmente pericoloso per la salute.
10.- Né può avere alcun rilievo, sulla legittimità della revoca, la circostanza che, quando gli studi di bioequivalenza erano stati effettuati, il CESI di Chieti risultava un laboratorio regolarmente autorizzato. Quel che rileva invece è che gli studi di bioequivalenza compiuti presso quel laboratorio, a causa del mancato rispetto delle regole dettate dalle apposite Linee guida, dovevano ritenersi totalmente inaffidabili e quindi non in grado di costituire (più) un valido supporto alla autorizzazione alla commercializzazione di quel farmaco generico.
11.- Ciò rende anche irrilevante la circostanza che la stessa AIFA, quando ha rilasciato l’AIC era già a conoscenza di irregolarità e deviazioni negli studi svolti presso il CESI di Chieti. Infatti quando l’AIFA ha rilasciato all’appellante l’autorizzazione richiesta lo ha fatto sulla base del dossier presentato e prima di aver concluso l’istruttoria sulla vicenda riguardante l’operato del CESI che ha poi determinato la successiva revoca dell’AIC.
12.- Gli studi presenti nel dossier non potevano essere poi sostituiti, come ha sostenuto l’appellante con la sua opposizione alla revoca (e nel suo ricorso), dagli studi svolti in Irlanda presso la Clinica Shandon per farmaci analoghi con lo stesso principio attivo.
Infatti, come ha affermato l’AIFA, tali studi non erano stati inseriti nel dossier riguardante il farmaco prodotto dall’appellante ai fini delle valutazioni necessarie per il rilascio dell’autorizzazione richiesta né erano stati ivi richiamati.
Peraltro tali studi non potevano nemmeno consentire una rivalutazione postuma della questione alterandosi altrimenti le rigorose regole dettate in materia, anche ai fini della tutela della salute, per il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio di farmaci (anche generici).
Mentre, come ha affermato l’AIFA, tali studi possono essere eventualmente utili ai fini del rilascio di una nuova autorizzazione.
13.- Come ha correttamente affermato il T.A.R. nell’appellata sentenza, sia la revoca dell’autorizzazione sia il provvedimento di rigetto dell’opposizione e di conferma del provvedimento di revoca sono correttamente motivati, in ordine alla sussistenza delle ragioni che ne hanno determinato l’adozione. In particolare “nel provvedimento di ritiro sono state evidenziate le deficienze organizzative e le non corrette metodologie riscontrate nel centro che aveva effettuato gli studi di bioequivalenza prodotti a supporto della richiesta di rilascio dell’autorizzazione, mentre nel provvedimento di rigetto dell’opposizione sono state ben evidenziate le ragioni in base alle quali non sono stati ritenuti rilevanti gli studi successivi al rilascio dell’autorizzazione che avrebbero confermato l’efficacia terapeutica del medicinale prodotto…”.
14.- Infondate si rilevano poi anche le altre censure sollevate.
14.1.- L’appellante ha sostenuto che la revoca, lungi dall’avere un carattere meramente sanzionatorio e del tutto formalistico, deve tenere conto dell’effettiva e concreta rilevanza, da un punto di vista sanitario, di quanto contestato al titolare dell’autorizzazione, come dimostrato proprio dall’art. 141 del d. lgs. n. 219 del 2006 che prevede l’opposizione alla revoca sulla quale deve essere sentito il Consiglio Superiore di Sanità. L’AIFA, secondo l’appellante, aveva quindi il dovere di rivalutare nel merito la questione, come è dimostrato anche dal comma 3 dell’art. 141, secondo cui l’Autorità sanitaria può, e non deve, revocare l’autorizzazione sanitaria nei casi del predetto terzo comma, valutando la sussistenza (o meno) di rischi per la salute pubblica.
14.2.- La censura non è fondata.
Si è già detto che l’AIFA non ha esercitato in modo formalistico i suoi poteri di vigilanza ma è intervenuta per impedire l’ulteriore commercializzazione di un farmaco, già immesso in commercio, che era risultato privo di uno dei presupposti fondamentali per la sua vendita e quindi potenzialmente pericoloso per la salute.
14.3.- L’AIFA ha poi rivalutato la questione, a seguito dell’opposizione dell’interessata, seguendo il procedimento dettato dai commi 3 e 4 dell’art. 141 del d. lgs. n. 219 del 2006, ritenendo peraltro di dover confermare la disposta revoca, non potendo, per le ragioni già indicate, le irregolarità riscontrate consentire l’ulteriore commercializzazione del farmaco e non potendo le stesse essere superate dalla presentazione di un nuovo studio di bioequivalenza, non presente nel dossier, condotto in Irlanda su medicinali analoghi.
15.- Né si può ritenere che l’AIFA dovesse integrare il dossier presentato per l’autorizzazione con altri studi estranei al dossier e riguardanti farmaci analoghi.
Mentre gli studi condotti presso il laboratorio Shandon in Irlanda, per farmaci analoghi, possono anche essere utili ma solo in una nuova pratica autorizzatoria.
Del resto, si è già ricordato che la particolare delicatezza della materia impone il rigoroso rispetto delle procedure al fine di evitare ogni possibile rischio per la salute pubblica.
15.1.- Sul punto il T.A.R. ha correttamente affermato che “non può ritenersi conferente ad inficiare la legittima adozione” della revoca il rilievo “della acclarata efficacia terapeutica del farmaco sulla base di studi non prodotti all’atto della presentazione della domanda” posto che tale elemento può assumere rilevanza, ai sensi del comma 5 del citato art. 141, solo nella diversa ipotesi della revoca per la nocività o inefficacia terapeutica del farmaco (di cui al precedente comma 2).
16.- Né una deroga alla procedura poteva essere consentita per il solo fatto che l’art. 141 del d. lgs. n. 219 del 2006 prevede una fase di opposizione alla revoca anche per le ipotesi di cui al comma 3 dello stesso articolo.
Si deve, infatti, ritenere che la possibile opposizione alle revoca, prevista anche per la fattispecie in questione, nella quale era stata accertata la carenza dei presupposti stessi dell’autorizzazione al fine di consentire al titolare dell’autorizzazione di far valere le proprie ragioni prima dell’adozione del provvedimento definitivo, non poteva comunque determinare anche la riapertura dell’istruttoria del procedimento autorizzatorio, potendo concentrarsi piuttosto sui motivi della revoca che, nella fattispecie, si sono dimostrati evidentemente insuperabili.
17.- Non può essere quindi censurata la decisione dell’AIFA che ha ritenuto non possibile “dal punto di vista regolatorio” rivalutare il dossier sulla base di studi di bioequivalenza non presenti nello stesso dossier. E ciò nonostante l’invito ad un riesame, pervenuto dal Consiglio Superiore di Sanità, e nonostante la trasmissione da parte dell’appellante (e delle altre società interessate dai provvedimenti di revoca dell’AIC) degli studi di bioequivalenza effettuati su prodotti analoghi dallo studio irlandese Shannon.
18.- Quanto alla valenza del parere del Consiglio Superiore di Sanità, si deve osservare che lo stesso non era certamente vincolante per l’AIFA che, nel provvedimento di revoca, dà atto del parere ma indica anche i successivi pareri contrari espressi dalla commissione Tecnica Scientifica, nelle sedute del 2122 dicembre 2010 e dell’1 – 2 marzo 2011, e le ragioni che, in definitiva, non hanno consentito una diversa conclusione del procedimento.
19.- Le argomentazioni esposte consentono di respingere anche l’ulteriore motivo secondo cui erroneamente il T.A.R. ha ritenuto che, per revocare l’autorizzazione, era sufficiente la mera presenza di deficienze organizzative e/o metodologiche nello studio svolto dal Centro di ricerche di Chieti, considerando irrilevanti la documentazione fornita a dimostrazione dell’esistenza di altri studi da solo sufficienti a confermare l’efficacia terapeutica del medicinale in questione.
20.- Non possono poi ritenersi in alcun modo violate le disposizioni dettate sugli atti di autotutela della pubblica amministrazione dalla legge n. 241 del 1990.
In ogni caso la presentazione dell’opposizione alla revoca ha consentito al titolare dell’autorizzazione, come previsto dalla disciplina di settore, di far valere le proprie ragioni prima dell’adozione del provvedimento definitivo.
Ma, nella fattispecie, tali osservazioni, pur valutate, non sono state ritenute sufficienti ad evitare il definitivo provvedimento di revoca dell’autorizzazione per le ragioni che si sono già indicate.
21.- Né poteva essere effettuato, come richiesto dall’appellante, un diverso contemperamento fra l’interesse pubblico e quello privato, avendo l’irregolarità accertata comunque prodotto il venir meno di un presupposto ritenuto indispensabile per l’autorizzazione all’immissione in commercio.
22.- In conclusione, per tutti gli esposti motivi, l’appello deve essere respinto e l’appellata sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione III Quater, n. 1911 del 21 febbraio 2013, deve essere confermata, seppure in parte con diversa motivazione.
23.- Le spese di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dispone la compensazione fra le parti delle spese e competenze di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Vittorio Stelo, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Dante D’Alessio, Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 07 APR. 2014

Avv. Paola Ferrari

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