ddl concorrenza farmacieDopo gli interventi dei due relatori Luigi Marino e Salvatore Tomaselli, effettuati nella settimana precedente, la discussione sul disegno di legge sulla Concorrenza è proseguita al Senato nella giornata di giovedì 27 aprile. Ha preso la parola per primo il senatore Cioffi, del M5S, che ha ricordato come il Ddl sia «nato nel marzo 2015, quindi più di due anni fa, quando fu presentato alla Camera». Eppure, «ne dovrebbe essere varato uno ogni anno: tuttavia, se tale è il livello di concorrenza che vogliamo garantire al nostro Paese, direi che siamo messi veramente molto male». Castaldi, dello stesso partito, ha puntato il dito poi contro i «favori ad un serie di ben identificate lobby» che sarebbero contenuti nel provvedimento e che andrebbero «contro i reali interessi e la difesa dei consumatori: dai notai ai farmacisti, dalle compagnie assicurative fino all’ENEL e agli altri venditori di energia elettrica». Lo stesso parlamentare ha quindi citato tra le norme che non sono state inserite e che a suo avviso avrebbero dovuto esserlo, la liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C: «Si consente alle farmacie di mantenere un monopolio». E la mancata abolizione «del patent linkage, la norma che ostacola la commercializzazione dei farmaci generici dopo la scadenza del brevetto». Inoltre, il senatore ha spiegato che «il testo licenziato in Commissione è molto peggiorato nella parte relativa alla disciplina sull’esercizio della farmacia da parte di società di capitali. Mi riferisco, in particolare, al divieto di controllo, diretto o indiretto, da parte di un medesimo soggetto, di una quota superiore al 20 per cento delle farmacie della medesima Regione o Provincia autonoma. Un tetto del 20 per cento su base regionale consente ad un numero estremamente ridotto di società di controllare il complesso delle farmacie italiane commercialmente allettanti. È evidente che vi fosse bisogno di un paletto molto più rigoroso». Ancora, Castadi ha citato alcune cifre: «Le dinamiche emerse in questi anni sulla parzialissima liberalizzazione della vendita di farmaci e dell’incremento di parafarmacie dimostrano quindi come la liberalizzazione non solo ha migliorato il servizio per gli utenti, ma ha anche stimolato la concorrenza e incentivato gli operatori tradizionali del settore farmaceutico a sviluppare altri mercati e a sperimentare nuovi servizi, con ricadute molto positive per la collettività. Acquistare medicinali fuori dal canale classico della farmacia ha portato nel 2015 alle famiglie italiane, un risparmio di ben 36 milioni di euro. Se si consentisse anche alle parafarmacie la vendita dei farmaci di fascia C, che sono soggetti a prescrizione medica, ma con costi a carico del paziente il risparmio per i cittadini andrebbe dai 500 ai 900 milioni di euro l’anno». A Castaldi ha risposto la senatrice Fucksia, affermando che «è veramente curioso che il Movimento 5 Stelle, che si dichiara sempre essere a favore della piccola media impresa e della tutela dei cittadini, si sia posto in un’ottica ultraliberistica su questo tema». Per la parlamentare infatti la richiesta di vendere liberamente la Fascia C «è fuori dal tempo, non riduce i costi e non aumenta la tutela della salute dei cittadini. Non è su questo che dobbiamo intervenire, anche perché ciò aumenta i rischi e non è qualificante neanche per il farmacista».
È intervenuta quindi la senatrice Lanzillotta, dichiarando che «la questione dei farmaci presenta due aspetti, a mio avviso, delicati, il primo dei quali è la liberalizzazione dei farmaci di fascia C. Capisco che si sostiene questo vincolo in nome del fatto che si tratta di una rendita che consente la capillarità della rete delle farmacie, ma allora ragioniamo su un sistema diverso, ad esempio sulle farmacie per fasce di popolazione, in modo che, laddove la farmacia è un presidio anche sociale, sia mantenuta una riserva che consenta a quella farmacia di avere un conto economico che le permetta di sopravvivere. Credo invece che questa riserva generalizzata a favore della farmacie sia un mantenimento di rendita non giustificato dal sistema».
Inoltre, in materia di patent linkage, la senatrice ha ricordato di essersi «molto battuta sulla questione del patent linkage, perché c’è un abuso della copertura brevettuale. Solo in Italia c’è un legame tra identificazione della commerciabilità da parte dell’Agenzia del farmaco e copertura brevettuale; i percorsi sono diversi, perché il brevetto copre l’ammortamento dell’investimento per la ricerca e la immissione in commercio segue un percorso di tipo tecnico scientifico. In Italia si sono sovrapposte queste due cose con il risultato che pretestuosamente si allunga la copertura brevettuale per escludere dal commercio farmaci generici di pari efficacia e questo comporta una rendita ultrabrevettuale».

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