ddl concorrenza farmacieDopo che le commissioni riunite Finanze e Attività produttive della Camera hanno dato il via libera al ddl concorrenza, che ha bocciato l’ipotesi di estendere la vendita di farmaci di Fascia C con ricetta anche a parafarmacie e Gdo e ha aperto all’ingresso dei capitali in farmacia, seppur con alcune restrizioni, si è inasprito lo scontro tra sostenitori e detrattori del provvedimento. Per fare chiarezza sugli scenari aperti dalle nuove misure, nel caso vengano approvate in via definitiva, FarmaciaVirtuale.it ha interpellato Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta, dottori commercialisti dello studio Guandalini di Bologna.

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Prima di tutto, cosa significa “ingresso di capitali” in farmacia a cui ha aperto il ddl concorrenza?

“Ingresso dei capitali” è una figura retorica, che contiene un doppio passaggio evocativo. Da un lato, si parla di “capitali” senza specificare cosa si intenda, ma di un qualche “capitale” la farmacia, come qualunque altra impresa che richiede investimenti, non può fare a meno. Dall’altro, con l’espressione “ingresso” si allude ad un evento negativo – la esecrabile “calata dei Lanzichenecchi” –, come se prima d’ora in farmacia di capitali non vi fosse mai stato bisogno. Se per capitale intendiamo i mezzi finanziari, in farmacia anche nel passato ne è entrato a fiumi, come sanno i titolari che hanno acquistato la farmacia con le quotazioni degli anni 2006-2008, e come soprattutto dovrebbero sapere i grossisti e le finanziarie che per anni hanno immesso nel sistema finanziamenti “a piangere” (Zio Paperone chiama “acquisti a piangere” le operazioni in cui il debitore compra a credito, poi non paga, e il creditore piange…). Quello che cambierà – ed è un radicale cambio di paradigma, per usare l’espressione del dr. Pani – è il fatto che formalmente sarà possibile che i soggetti apportatori di capitale diventino comproprietari della farmacia o, detto in modo tecnicamente più corretto, diventino soci delle società titolari di farmacia, mentre sino ad oggi lo erano solo i farmacisti. In questa accezione “capitale” diventa una metonimia: il “capitale” è il socio che viene in considerazione solo per il denaro che conferisce, e non per i titoli professionali ed il lavoro che apporta, contrapposto al socio-farmacista che può anche apportare capitale, ma necessariamente anche gli altri due fattori. È presto per dire cosa accadrà quando il disegno di legge avrà completato l’iter parlamentare, certo è che dovrà essere ripensato il sistema dei check and balances, quelli che con uno slogan vengono chiamati i “paletti”, non necessariamente con specifiche nuove leggi, ma anche attraverso una interpretazione evolutiva delle norme che già esistono e che servono ad assicurare l’indipendenza del titolare della farmacia da indebite pressioni di interessi contrari alla salute dei cittadini.

In che modo i capitali potranno praticamente entrare in una o più farmacie?

Sempre tenendo presente l’accezione di ingresso dei capitali come “accesso alla proprietà” della farmacia, le modalità pratiche sono solo due: o qualcuno immette soldi freschi in farmacia (o nelle tasche del titolare) per acquistarne quote, oppure qualcuno che già prima d’ora aveva prestato soldi alla farmacia (per finanziamento o per credito di fornitura, per apporti di capitale in qualità di associati, come diritti ex art. 230-bis c.c. per impresa familiare, eccetera) converte tale credito in una quota di (com)proprietà della farmacia. Le combinazioni pratiche ipotizzabili però sono le più disparate: poiché saranno disponibili tutte le forme giuridiche di società, anche di capitali (quindi anche la s.p.a. e la s.r.l. e addirittura la s.a.p.a.), si apre la porta a combinazioni variegate e fantasiose, adatte alle più diverse esigenze: dalle golden share agli strumenti finanziari partecipativi, dai finanziamenti ibridi (a metà tra debito e capitale proprio) alla creazione di gruppi societari, alle scissioni e trasformazioni anche eterogenee; tutta la tavolozza degli strumenti del diritto societario viene messa a disposizione dei farmacisti. Sono solo alcune delle possibilità dischiuse dalla riforma; nessuna di queste è in sé un bene o un male, dipenderà da quale uso ne verrà fatto, e da quali saranno le scelte compiute dai titolari di farmacia nei prossimi anni. Anche il mondo dei servizi professionali alla farmacia subirà un radicale cambiamento, e di questo è bene che tutti i colleghi siano consapevoli.

Quale sarà l’impatto sul valore delle farmacie private?

Vale l’aforisma di Nils Bohr: fare previsioni è molto difficile, soprattutto quando riguardano il futuro. Sulla base delle osservazioni registrate in altri settori e/o in altri Paesi, possiamo ipotizzare che certamente l’impatto iniziale sarà molto meno drammatico di quello che deriverebbe dall’uscita della Fascia C. La fuoriuscita dal canale di un altro pezzo del mercato, che avrebbe certamente comportato una prospettiva di progressiva erosione per moltissime farmacie, avrebbe avuto una inevitabile ricaduta sulle prospettive e, quindi, sulle valutazioni. Meno acquirenti potenziali, meno motivati e con minori capitali a disposizione. L’apertura ad una vasta platea di investitori porterà, almeno all’inizio, ad una tenuta e probabilmente ad un incremento dei prezzi di trasferimento delle farmacie, anche se non si tratterà presumibilmente né di un fenomeno omogeneo, né di un fenomeno necessariamente duraturo. Ad una iniziale fase di acquisizioni, che potrebbe interessare soprattutto alcune aree e alcune tipologie di farmacie (quelle a vocazione commerciale), potrebbe seguire anche un radicale riassetto del mercato. In Norvegia all’indomani della liberalizzazione una catena aveva raggiunto l’80% delle farmacie; è dovuta intervenire l’autorità antitrust locale per riportarla al 40%; nel Regno Unito le prime due catene rappresentano oltre il 30% delle farmacie. Se guardiamo ai volumi anziché al numero di licenze, probabilmente le quote salgono significativamente. In uno scenario di creazione di due-tre grandi catene, potrebbe verificarsi dopo qualche anno una trasformazione dei mercati del controllo: uno per i grandi gruppi, l’altro per le piccole realtà (individuali o riunite in “catenelle”) con criteri di valutazione e accesso al credito completamente diversi. Quello che è certo è che il valore della farmacia dipenderà sempre più dalle capacità del suo titolare (e del potenziale acquirente) di farne un’impresa efficiente e redditizia; tanto maggiori le potenzialità di sviluppo, tanto maggiore il valore della farmacia. E l’assetto complessivo del mercato, nazionale ma anche locale, definiscono l’orizzonte delle potenzialità.

Il settore delle parafarmacie avrà ripercussioni?

Certamente. Se dovesse restare confermato che la liberalizzazione in corso non porterà all’uscita della Fascia C, ma alla creazione di catene di farmacie anche di grandi operatori nazionali e multinazionali, il settore delle parafarmacie subirà un significativo cambiamento. Resteranno certamente le parafarmacie nelle zone di intensa vocazione commerciale, dove c’è posto per tutte le iniziative economiche (ad esempio in zone turistiche e nei grandi centri urbani); potrebbero sopravvivere, e anche crescere, vere e proprie catene di parafarmacie se sapranno creare un proprio format e un marchio differenzianti. Se il mercato premia catene come Acqua&Sapone e Tigotà, probabilmente un buon format di parafarmacie potrebbe sicuramente avere un suo spazio. Le altre parafarmacie, quelle che già quando sono state aperte non avevano un futuro, ma si sperava fossero regolarizzate all’italiana in farmacie non convenzionate – voce che si era sparsa già all’indomani del decreto Bersani –, dovranno necessariamente rivedere i propri piani.

Un consiglio a chi in questo momento sta investendo nel settore per la ristrutturazione della farmacia, la compravendita della farmacia, e altre operazioni?

Un bellissimo aforisma di Nicholas Nassim Taleb recita “invest in preparedness, not in prediction”, che tradotto liberamente può significare: per investire non sforzarti di prevedere il futuro (che è impossibile), ma cerca di essere pronto ad affrontare qualsiasi situazione dovesse verificarsi quando il futuro diventerà presente. Ecco allora che investire nella propria azienda è sempre la scelta giusta, sempre che si tenga presente la regola d’oro che ogni investimento deve avere come obiettivo una congrua remunerazione e il recupero del capitale in un lasso ragionevole di tempo.

Quindi il primo consiglio è di valutare attentamente quali potenziali benefici si attendono dall’operazione, e cercare strumenti per misurare gli effetti di quello che si sta facendo. Chi ristruttura non pensi all’effetto estetico ma a quello funzionale. Per fare degli esempi: il nuovo layout non deve appagare l’occhio del titolare, ma favorire l’attività di servizio all’utenza; l’installazione del magazzino automatico deve essere preceduta da una attenta analisi costi-benefici. Non ha senso rivedere il layout senza pensare a formare (e incentivare!) adeguatamente il personale. I software gestionali offrono oggi meravigliosi strumenti di business intelligence che devono servire per condurre una seria analisi della propria situazione prima di decidere quali investimenti fare e per verificarne l’impatto – e assumere eventuali correttivi – una volta compiuti.

L’articolo 32 del ddl può costituire un’opportunità di investimento e di ristrutturazione per gli stessi farmacisti? Se sì, in che modo?

Certamente si tratta di una grandissima opportunità. La rapidità sarà però un fattore determinante di successo. Per chi dispone di aziende sane e/o di propri capitali, la rimozione dei limiti numerici e territoriali combinata con la possibilità di coinvolgere nella proprietà familiare altri partner di fiducia non farmacisti costituirà una ghiotta occasione per creare aggregazioni.

Per concludere, un giudizio, dal vostro osservatorio professionale privilegiato, sulle nuove misure previste dal ddl concorrenza.

Senza dubbio sul piano comparativo è preferibile questa riforma all’uscita della Fascia C. Quello che possiamo invece aggiungere dal nostro osservatorio professionale privilegiato è che tra i farmacisti si respira, forse per la prima volta da tanti anni, uno spirito nuovo. Molti farmacisti si sono rimboccati le maniche, hanno messo a punto e tenuto sotto controllo le proprie aziende, hanno imparato a gestire sempre meglio l’attività al banco e il back office, innalzato la produttività propria e dei collaboratori, approfondito e affinato l’uso dei loro gestionali. E gli effetti si vedono: gli ultimi bilanci mostrano chiari segnali che chi si dà da fare viene premiato da risultati lusinghieri. Le geremiadi e i piagnistei di chi annuncia la fine del mondo sembrano alle spalle, e molti titolari si sono rimboccati le maniche e attendono con grande interesse la versione finale della riforma: fedeli all’aforisma di Taleb, hanno investito e stanno investendo nell’essere preparati anziché in fosche previsioni, e vogliono arrivare ai nastri di partenza pronti per partecipare alla corsa, preferibilmente non da gregari.

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