ddl concorrenza farmacieUn percorso a dir poco ad ostacoli. L’iter parlamentare del primo disegno di legge sulla Concorrenza (che in teoria dovrebbe avere cadenza annuale) è risultato talmente tortuoso da aver portato perfino a riflettere sull’utilità di utilizzare ancora, in futuro, tale strumento normativo. Si è partiti infatti ormai quasi tre anni fa, con le prime proposte che furono avanzate al governo, ad ottobre del 2014, dall’autorità Antitrust. Le discussioni nel merito delle numerosissime proposte si sono protratte quindi per tutto il 2015. In particolare, per quanto riguarda le farmacie, a dividere in parlamento (così come nella categoria) sono stati in particolare la possibile liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C e l’ingresso delle società di capitale nella titolarità delle farmacie. Tra accuse reciproche, passi in avanti, difficoltà ed emendamenti, si è giunti così alla stesura del primo testo, che ha ricevuto il via libera da parte di Montecitorio con 269 voti a favore, 168 contrari (Sel, Forza Italia e il Movimento 5 Stelle) e 23 astenuti (i deputati di Scelta Civica). A quel punto il provvedimento è passato a Palazzo Madama, dove fino all’estate del 2016 il vaglio è stato affidato alla commissione Industria. Le primissime votazioni sono partite all’inizio di febbraio, ma per completare il lavoro e consegnare un testo all’Aula è stato necessario aspettare il mese di agosto, subito prima della pausa estiva. I relatori al Senato del Ddl, il senatore di Ap-Ncd Luigi Marino, e il collega Salvatore Tomaselli del Pd, speravano a quel punto che il provvedimento potesse vedere la luce entro la fine dell’anno. L’idea era infatti quella di procedere ad una rapida approvazione del disegno di legge, di modo da poterlo rinviare nuovamente alla Camera (dal momento che alla norma erano state apportate alcune modifiche rispetto al testo licenziato a Montecitorio) per poi attendere solo la promulgazione e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il Ddl Concorrenza è stato in effetti inserito nei calendari dei lavori, sebbene a fasi alterne, ma la velocità immaginata non è mai arrivata. Al contrario, si è proceduto a rilento, fino ad un vero e proprio stop, al quale inizialmente non erano state fornite giustificazioni “ufficiali”. Solo dopo alcuni giorni si è compreso che il governo, guidato all’epoca da Matteo Renzi, aveva in testa una strategia ben precisa. Il rallentamento, infatti, non dipendeva da ragioni tecniche né procedurali, bensì squisitamente politiche: la maggioranza in parlamento aveva preferito evitare di continuare a dibattere su un testo considerato troppo “divisivo”, in vista di un appuntamento vitale per l’esecutivo, ovvero il referendum costituzionale del 4 dicembre. In altre parole, i litigi attorno al Ddl Concorrenza rischiavano di minare la compattezza della maggioranza a poche settimane dallo scrutinio referendario. Fino al 4 dicembre, dunque, tutto doveva tacere: e così è effettivamente stato. Salvo il fatto che la consultazione non è andata nel verso auspicato dal governo. Al contrario, Renzi ha dovuto accettare una dura sconfitta, rassegnando le dimissioni. Un passaggio che, manco a dirlo, ha procrastinato il blocco sul Ddl Concorrenza: le istituzioni si sono infatti viste improvvisamente concentrate sulla formazione di un nuovo governo. In questo modo si è arrivati al 2017, in attesa del proseguimento della discussione in Aula del provvedimento. Tra rinvii, nuovi passaggi in commissione per limare dei dettagli e alcuni “negoziati extra-parlamentari”, il disegno di legge ha fatto finalmente la propria (ri)apparizione nei calendari dei lavori. Dapprima si è immaginato un via libera entro il mese di marzo. Poi ulteriori ostacoli hanno portato il testo ad essere calendarizzato per il 4 aprile. Tuttavia, il 29 marzo l’agenzia Il Sole 24 Ore Radiocor Plus ha fatto sapere che «ci sono ancora dei nodi da sciogliere in vista dell’approdo in Aula. A quanto si apprende, sul tavolo degli incontri tra governo e maggioranza in corso in questi giorni c’è la scelta tra due opzioni: quella di portare in Aula il testo approvato dalla commissione Industria sostanzialmente blindato e procedere direttamente al voto (eventualmente con la fiducia). Oppure quella di presentare in Aula il pacchetto di una trentina di emendamenti messo a punto da governo e relatori e prevedere un ritorno del provvedimento in Commissione per poi tornare di nuovo in Assemblea e licenziare il nuovo testo (anche in questo caso la fiducia resta una opzione)». La questione, ha aggiunto l’agenzia di stampa, «è legata sia al timore di “incidenti di percorso” che di allungare ulteriormente i tempi di varo di un Ddl presentato dal Governo in parlamento ad aprile del 2015». Alla fine di marzo del 2017, insomma, ancora non si conoscono con certezza né le modalità né i tempi di approvazione del disegno di legge. Che in ogni caso dovrà tornare alla Camera per una nuova lettura, una volta terminati i lavori del Senato.

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