consumi-farmaceuticiNel nostro Paese si usano troppi farmaci? È giusto parlare di consumo eccessivo e di spreco? Il dibattito, nato a partire dall’articolo di Antonio Galdo, pubblicato sul Mattino del 22 aprile, dal titolo “L’inutile abbuffata di farmaci costa cara: 22 scatole per abitante”, si infittisce. Alle criticità messe in evidenza da Galdo hanno risposto il presidente di Federfarma Napoli, Michele Di Iorio, e il segretario di Federfarma Salerno, Michele Viggiano. Ricostruiamo qui di seguito alcuni dei principali punti della discussione.

[Se non vuoi perdere tutte le novità iscriviti gratis alla newsletter di FarmaciaVirtuale.it. Arriva nella tua casella email alle 7 del mattino. Apri questo link]

Partiamo dallo spunto dell’articolo, le statistiche dell’Agenzia italiana del farmaco, secondo le quali nei primi nove mesi del 2012 la spesa farmaceutica in Italia è stata pari a 19,2 miliardi di euro, con una proiezione per la fine dell’anno di 25,6 miliardi, 15 dei quali a carico del Servizio sanitario nazionale. «Una grande abbuffata» di medicinali, nell’opinione di Galdo. Secondo Viggiano, se è vero che la spesa farmaceutica in Italia è in costante ascesa, occorre però precisare che quella territoriale ha fatto registrare un calo rispetto all’anno precedente di circa il 10%, mentre è la spesa pubblica ospedaliera che ha subito un forte aumento. Una posizione analoga a quella sostenuta da Di Iorio, che riconduce tali risultati a fattori quali il sempre maggior impegno dei farmacisti nella diffusione dei farmaci generici, la politica disincentivante attuata dalla maggior parte delle Regioni con l’introduzione dei ticket, e i provvedimenti dell’Agenzia italiana del farmaco tendenti a privilegiare la classificazione dei farmaci di recente acquisizione in PHT, in distribuzione diretta da parte delle Asl, e non in classe A, in distribuzione in farmacia.

Secondo Galdo il primo dato dissonante riguarda la spesa farmaceutica pro capite, con una media nazionale di 142 euro, che varia però dai 180 euro della Sicilia ai 97 di Bolzano. «Poiché non è possibile che in Sicilia ci sia ammali più che in Trentino Alto Adige – scrive Galdo –, la differenza (in pratica il doppio) è legata solo alle cattive abitudini, e dunque allo spreco dei medicinali». Se lo scarto tra Nord e Sud è innegabile, diverse sono però le interpretazioni che di tali scostamenti danno Di Iorio e Viggiano. Secondo il primo, «sono facilmente giustificati dal più fiducioso ricorso alle strutture ospedaliere pubbliche delle Regioni del Nord, rispetto al “diffidente“ rapporto con le inospitali strutture sanitarie meridionali». Per Viggiano, le differenze nella spesa farmaceutica dipendono invece dal reddito, che in media al Sud è più basso, il che comporta che ci siano più esenti. Nelle regioni meridionali è dunque intuibilmente più frequente che chi gode dell’esenzione totale si faccia prescrivere anche farmaci di basso costo.

Il secondo dato citato da Galdo è la media di 22 confezioni di medicinali per ciascun abitante, definita dal giornalista «una vera e inutile abbuffata di farmaci», con in cima alla lista gli antibiotici e le medicine per i problemi cardiocircolatori, «complici medici, utenti e farmacisti». Unica buona notizia per il giornalista, l’aumento dei generici, arrivati a coprire il 25% del mercato, a cui fanno da contraltare però il fatto che un terzo dei medicinali acquistati dagli italiani venga poi buttato e il record europeo dell’Italia quanto a ”consumo” di analisi e indagini di laboratorio – «da una lastra ai polmoni dopo qualche colpo di tosse in più a continue analisi del sangue per misurare il nostro livello di colesterolo» – che manderebbero fuori controllo le spese sanitarie. Diversa la lettura di Di Iorio, secondo il quale i consumi e i costi dei farmaci antibiotici, già da tempo generici, sono in realtà contenuti, mentre risulta invece inevitabilmente sostenuta l’incidenza dei farmaci per l’apparato cardiocircolatorio «per l’elementare motivo che le patologie relative sono sempre più diffuse». Il fenomeno, per Di Iorio, potrebbe però essere riportato sotto controllo recependo un’antica proposta di Federfarma affinché il cittadino venga preso in carico dal farmacista per l’aderenza della terapia, scongiurando così l’abbandono e la sostituzione di terapie che non abbiano dato immediato effetto. Nulla da stupirsi invece, a proposito delle 22 confezioni pro capite, secondo Viggiano: una persona ipertesa, ad esempio, consuma circa 13 scatole all’anno; se poi vi è associato l’acido acetilsalicilico come prevenzione al sistema cardiocircolatorio, sono altre 12 scatole. E una protezione per lo stomaco? Altre 13. Si arriva così a 38, e senza considerare possibili disturbi quali un’influenza o un’allergia. Perché però, si chiede Viggiano, parlare di complicità tra medici, cittadini e farmacisti? «Il farmacista dispensa rispettando l’ordine scritto sulla ricetta», e la buona notizia sui generici si dovrebbe proprio all’impegno quotidiano dei farmacisti nello spiegare il ritorno economico per le famiglie. Il problema dovrebbe semmai essere posto alle Asl che hanno in cura i cittadini.

Alcune considerazioni finali sono poi portate avanti da Di Iorio su quello che a suo avviso è uno degli aspetti più urgenti e delicati: la carenza nelle farmacie di medicinali fondamentali, dettata dalla distorsione del mercato. «Il prezzo dei farmaci di classe A in Italia – spiega il presidente di Federfarma Napoli – risulta tra i più bassi d’Europa, trasformando di fatto le sedi italiane delle multinazionali, loro malgrado, in autentici discount per le farmacie del resto d’Europa, le quali lucrano sulla differenza tra il basso prezzo d’acquisto in Italia e l’alto prezzo di vendita al dettaglio nei rispettivi Paesi. Al fine di evitare alterazioni dei singoli mercati nazionali, le ditte produttrici hanno introdotto un severo contingentamento dei medicinali destinati al mercato italiano, fornendo, in pratica, a quest’ultimo esclusivamente le quantità in base ai consumi storici del Sistema sanitario nazionale». Una situazione che, complice l’attuale scarsa redditività delle farmacie, avrebbe indotto anche qualche titolare a privilegiare l’esportazione anziché la distribuzione territoriale. Tutto regolare, precisa Di Iorio, come previsto dal decreto legislativo 219 del 2006, ma non privo di serie conseguenze per il territorio. «È consentito – si chiede Di Iorio –, in regime di contingentamento, in applicazione dell’art 105 della legge 219, praticare l’esportazione senza aver prima soddisfatto le esigenze del territorio? È giustificabile l’atteggiamento dell’Aifa, la quale nonostante sia a conoscenza del problema non interviene per correggerlo normativamente? È ulteriormente sostenibile una realtà nazionale che vede i propri cittadini titolari degli stessi doveri degli altri cittadini europei ma non gratificati dagli stessi diritti, primo tra tutti quello delle cure mediche?».

Il dibattito è aperto.

S/C

© Riproduzione riservata

Non perdere gli aggiornamenti sul mondo della farmacia

Riceverai le novità sui principali fatti di attualità.

Puoi annullare l'iscrizione con un click. Non condivideremo mai il tuo indirizzo email con terzi.