trony-amazonNumeri alla mano, la chiusura dei 43 negozi Trony in Italia non è imputabile solo alla presenza di Amazon, benché questa abbia senza dubbio inciso. A spiegarlo è un’analisi pubblicata da Business Insider, che sottolinea quali sono le cifre in ballo: «Secondo le ultime stime GFK, il mercato italiano dell’elettronica di consumo (grandi e piccoli elettrodomestici, telefonia, computer, tv e accessoristica) vale circa 14 miliardi di euro l’anno, di cui 10 si concentrano intorno alle grandi catene. Il resto è diviso tra GDO non specializzata (Carrefour, Auchan, Ikea ed Esselunga), piccoli negozi e solo una piccola parte, meno del 10% del totale, Amazon. L’indotto italiano dell’azienda di Jeff Bezos, che corrisponde a poco più di 1 miliardo di euro, è suddiviso in egual misura tra le vendite direttamente imputabili al marchio e quelle derivanti dall’attività della sezione “marketplace”, ovvero la piattaforma del sito americano che promuove aziende minori». In altre parole, è vero che il colosso americano ha mangiato una porzione del mercato alle catene del nostro Paese, anche se non sembra essere l’unica spiegazione al problema. Il quotidiano online cita in proposito l’opinione di Davide Rossi, direttore generale di Aires, associazione che riunisce i retailer di elettrodomestici: «Nonostante i volumi di vendita non siano grandissimi, una delle chiavi della crisi nera di Trony & Co è proprio il Marketplace di Amazon».L’esperto parla in particolare di «proliferazione di microimprese, spesso uni-personali», che hanno innescato «una guerra di prezzi al ribasso e provocato un effetto domino su tutto il settore, grazie alla forza dell’algoritmo dei motori di ricerca». Ma a pesare sono anche le normative in vigore: «Qualsiasi sottocosto applicato in un negozio fisico va, infatti, comunicato in anticipo al Comune, con l’indicazione dei 50 prodotti sui quali si vuole applicarlo e con una limitazione di massimo 3 periodi all’anno. La normativa fu introdotta nel 2001 per evitare che la GDO uccidesse le piccole botteghe, ma nel 2018 prende il sapore della beffa, paragonata al grado di libertà dell’online». Ma, più in generale, secondo Alessio Di Labio, responsabile nazionale “elettronica di consumo” della Filcams Cgil, il problema è legato anche alla struttura industriale: «In Italia abbiamo ancora un approccio improntato sulla piccola-media impresa: i grandi marchi dell’elettronica sono spesso gruppi di acquisto che gestiscono aziende locali». C’è poi un fattore legato al mercato: la presenza degli smartphone, secondo il sindacalista, ha “mangiato” altri comparti, da quello dei pc alle tv, fino alle fotocamere amatoriali. Tuttavia, aggiunge lo stesso Di Labio, «l’e-commerce non ha fatto sparire del tutto la vendita retail: ci sono prodotti, come la lavatrice o il frigorifero, che i consumatori comprano ancora in negozio». Ne consegue che «l’unica via è unire l’online al punto vendita fisico». Che sia una ricetta utile anche per le farmacie?

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